Violento ma non troppo

da | Gen 15, 2012 | Editoriali

Tre episodi di violenza sulla moglie in vent’anni di matrimonio non sono maltrattamenti in famiglia secondo la Cassazione Penale, che ha annullato con rinvio la condanna nei confronti di un marito accusato di avere vessato e percosso la partner.

Essa ha stabilito infatti, con la sentenza n.46196 del 13 dicembre 2011, che, perché sussista il reato, occorrerebbe che i maltrattamenti fossero continuativi nel corso della relazione e andrebbe dimostrata l’abitualità del comportamento vessatorio. Con queste argomentazioni essa ha annullato con rinvio la condanna per violenza sessuale e maltrattamenti in famiglia a carico di un 47enne calabrese, che era stato precedentemente ritenuto colpevole, in quanto “il delitto di maltrattamenti può essere assorbito da quello di violenza sessuale soltanto quando vi è piena coincidenza tra le condotte, nel senso che gli atti lesivi siano finalizzati esclusivamente alla realizzazione della violenza sessuale e siano strumentali alla stessa, mentre invece, come avvenuto nella specie, in caso di autonomia anche parziale delle condotte, comprendenti anche atti ripetuti di percosse gratuite e ingiurie non circoscritte alla violenza o alla minaccia strumentale necessaria alla realizzazione della violenza, vi è concorso tra il reato di violenza sessuale continuata e quello di maltrattamenti".

Mentre prima si era configurato il concorso formale tra il delitto di maltrattamenti in famiglia e quello di violenza sessuale, considerato che la condotta integrante il reato di cui all’articolo 572 codice penale non si è esaurita negli episodi di violenza sessuale, ma si è collocata in un quadro complessivo connotato da una serie di atti vessatori e percosse tipici della condotta di maltrattamenti, ora i giudici di merito dovranno rivalutare tutta la vicenda perché sussiste nella sentenza impugnata un difetto di motivazione dal momento che non è stata dimostrata l’abitualità della condotta violenta e vessatoria del merito.

In particolare ad avviso della terza sezione penale "come è ampiamente noto, perché sussista il reato di maltrattamenti in famiglia occorre che sia accertata una condotta (consistente in aggressioni fisiche e vessazioni o manifestazioni di disprezzo) abitualmente lesiva della integrità fisica e del patrimonio morale della persona offesa, che, a causa di ciò, versa in una condizione di sofferenza e che per la sussistenza del reato occorrono elementi idonei a rappresentare un’abitualità della condotta vessatoria dell’imputato, mentre non sono sufficienti alcuni limitati episodi di ingiurie, minacce e percosse nell’arco di circa tre anni … che non rendono di per sé integrato il connotato di abitualità della condotta di sopraffazione richiesta per l’integrazione della fattispecie in esame; ed occorre altresì la prova della sussistenza, in capo all’imputato, di una volontà sopraffattrice idonea ad abbracciare le diverse azioni e a ricollegare ad unità i singoli episodi di aggressione alla sfera morale e fisica del soggetto passivo".

Da questa decisione se ne trae la conclusione che anche un ‘brav’uomo‘ può essere violento qualche volta! In tre anni può pure scappare qualche ceffone, qualche insulto, qualche violenza; chi non perde la pazienza? Resta un ‘brav’uomo‘ tutto sommato e anche se il partner ne ha tratto sofferenza, che importa? Mica lo fa di continuo! Mica si può definire un mascalzone, no, magari un po’ ‘fumantino‘: è solo un uomo infine e tutto sommato in questo comportamento non si ravvede un comportamento criminoso.

Bisogna proprio ammazzarle le donne perché la violenza sia considerata crimine da punire. Insomma i maltrattamenti in famiglia concorrono con la violenza sessuale quando sono ‘modus vivendi’ della coppia, allora si che la pena va inasprita nei confronti di un marito violento ma solo quando si configura il concorso formale tra il delitto di violenza sessuale continuata e quello di maltrattamenti in famiglia, quando le vessazioni sono prolungate e diventano lo stile di vita della coppia. Punibili in quanto dimostrano la denigrazione delle normali regole di convivenza famigliare, la sistematicità della prevaricazione e la violenza, specie se in modo continuativo e senza facoltà di riscatto della vittima.

Insomma, se gli uomini prima riempiono di botte la moglie e poi si scusano perché può capitare negli anni di perdere il controllo, se “perdono la pazienza” usando violenza, se poi accade, come in questo caso, solo tre volte in venti anni, possono passare anche per “bravi-normali” mariti, donne permettendo. E l’uomo-marito, che ha fatto ricorso contro la sentenza precedente, che lo giudicava colpevole di sevizie e violente contro la moglie, torna ad essere un “brav’uomo” e, come tale, libero.

l’Indro.it, 21 dicembre 2011