"Una lucertola nel fiato"
di Mariella Caporale
Donzelli, Roma, 2009. £ 16.00
Recensione di Mara Montanaro
È con grande piacere che ho letto l’ultimo libro scritto da Mariella Caporale, Una lucertola nel fiato. Mariella che ha esordito già nella narrativa con il romanzo il volo del portiere con cui ha vinto il premio Selezione Bancarella nel 2005, insegna Scienze bioetiche-giuridiche alla Sapienza di Roma.
Il romanzo racconta la storia di Chiara, descrive la fretta di quando hai vent’anni, il semaforo rosso all’improvviso, un colpo secco sull’asfalto. Ed ecco che il dilemma cala inesorabile sulle vite di quanti popolano il mondo di Chiara: Luca il ragazzo, Lavinia la sorella, Martina l’amica inseparabile, e soprattutto Anna e Bruno i genitori. È a loro due che spetta l’ultima scelta: accompagnare la figlia lungo il corso di una vita senza vita, con quel tubo che le scandisce il fiato, o staccare la spina del respiratore artificiale. Una scelta destinata a scuotere dalle fondamenta il flusso dei sentimenti e le più radicate certezze, fino all’attimo della decisione finale.
Anna e Bruno si ritrovano protagonisti – contrapposti e solitari – di un dramma che non può conoscere né vincitori né vinti. E in effetti nessuna certezza sembra resistere alla prova, quando la tragedia di una vita sospesa entra nelle storie dei diversi personaggi. Ognuno respira quella stessa tragedia coi toni e coi linguaggi più diversi: dai corridoi dell’università ai reparti d’ospedale, dai talk show televisivi ai locali notturni, alla pura quotidianità di una casa. Trovo splendida la figura della madre, il dolore che la pervade descritto con un lessico che non è mai vuota retorica, scrive
L’azione è un’attesa immobile e straziante dei genitori, del fidanzato, dell’amica del cuore, dei compagni di università. Siamo trascinati nella tragedia che la non-vita proietta all’improvviso in una famiglia come tante, costretta a fare i conti con un tema che sembra appartenere alla cronaca dei telegiornali finché non ci piomba dentro casa: l’interruzione della vita per chi vive nel limbo di un coma irreversibile, come scrive l’autrice: “il diritto di morire è più forte del dovere di vivere (cfr. p. 154)
Una scrittura mimetica, asciutta, incalzante esplora senza sentimentalismi l’impietosa atrocità del dubbio, la ripugnanza e al tempo stesso l’urgenza di una scelta alla quale nessun essere umano -meno che mai un padre o una madre – vorrebbe essere chiamato.
La scrittura dell’autrice è una scrittura forte, capace di cambiare registro con grande naturalezza, sia che si affronti il tema etico giuridico con tutte le sue complicate articolazioni, sia che ci si immerga nel mondo giovanile degli sms, delle chat di facebook.
Le ragioni a favore e contrarie all’interruzione delle cure terapeutiche vengono elencate puntualmente dal punto di vista dei coinvolti, rendendo tremendamente chiare tutte le posizioni. La voce dell’autrice è estremamente mimetica, così che l’ago della bilancia non pende mai da nessuna parte. Proprio questo stile è la particolarità e il punto di forza del romanzo: la scrittura è asciutta e asettica, soprattutto nelle scene dell’ospedale in cui cannule, corridoi e apparecchi medici scintillano di una luce fredda. Ricorrente è il ricorso ad immagini grottesche e surreali per descrivere lo stato della ragazza su cui le macchine, i tubicini e il respiratore sembrano accanirsi. Le frasi sono brevi, specie nei capitoli iniziali. Le scene si susseguono prive di notazioni temporali, il passaggio del tempo si coglie da particolari sussurrati qua e là nei dialoghi o nei discorsi silenziosi dei protagonisti.
Il tema complesso e drammatico della scelta etica viene approfondito, sezionato, analizzato dai diversi personaggi e ne risulta quindi un coro di voci che sembrano essere davvero le voci di tanti che abbiamo sentito esprimersi, in modo disordinato ed istintivo, nei talk show televisivi o sulle pagine dei giornali, che qui si risolvono invece in una sintesi narrativa molto efficace. Credo che questo romanzo possa dare un contributo significativo al dibattito sul testamento biologico con la carica di drammaticità che la storia di una normale famiglia, costretta a confrontarsi con una decisione estrema, conferisce all’astratto caso giuridico.
Il finale è inaspettato e ben trovato, perchè in esso si riassume il limbo biologico della ragazza, quello decisionale della famiglia e quello temporale in cui il lettore cade dalla prima pagina.
Il romanzo attiva il meccanismo stesso della tragedia classica, che permette attraverso la rappresentazione di soffrire e riflettere insieme. E su un tema come quello della necessità dell’eutanasia è urgente ora più che mai riflettere davvero.