Il 25 aprile sarà, come ogni anno da decenni, il giorno della Festa della Liberazione, l’evento nazionale legato alla libertà, che portò l’Italia a cacciare via i nemici nazi-fascisti. Dicono, alcune voci dissidenti, che può essere divisivo. Mi domando in fondo il perché, dato che dovremmo essere tutti democratici e le questioni di destra o di sinistra non essere inserite nel simbolo della pace italiana.
Sono a scrivere di Marcella Gay, al secolo la mia professoressa di latino a Pinerolo.
Valdese, giovane partigiana durante la Resistenza, “Zia Marcella”, come voleva che la chiamassi, mi ha lasciato il segno della sua profondità etica e morale, ma anche laica e religiosa insieme. Laica perché la cultura e l’istruzione sono questioni laiche, religiosa perché rispettava la mia Fede cattolica, lei che apparteneva ad una famiglia di Pastori religiosi valdesi, con onestà piena in tutto.
Donna libera e socialista, moderata ed estroversa, diceva di sé di essere timida. Come lo sono un po’ anche io. Mi diceva di osare nelle idee che portavano alla giustizia, di avere un vero, autentico equilibrio nella mia persona, in mezzo agli altri, in famiglia come a scuola, al lavoro.
Marcella Gay era una persona di cui fidarsi, anche nelle mie “ubbie metafisiche”, ovvero le mie “paranoie” studentesche, come le aveva chiamate il mio professore di filosofia, Alfredo Aigotti, ex operaio Fiat, mio simpatico riferimento intellettuale del tempo.
Della guerra, la staffetta partigiana Zia Marcella, diceva veramente male. Sapeva che portava alla morte e alla distruzione sia al momento che successivamente. Infatti ricordava cosa erano stati gli anni della ricostruzione in Italia e nel mondo, il dopoguerra. Anni di sofferenza, di fame e povertà per tutti. Lunghi, difficili.
Inoltre, spesso si soffermava a spiegarmi in modo attento e dettagliato, perché doveva trasmettermi il senso importante ma anche decisivo per la mia formazione culturale, che cosa era, secondo lei, la rivoluzione. Le rivoluzioni portano, come la guerra, se non peggio, all’annientamento della dignità umana. Infatti chi si presentava come un Dio, come un rappresentante della libertà e portatore di valori di giustizia, diventava peggio di Robespierre, ovvero Napoleone. Una critica hegeliana, insomma, ma filtrata con il passato dolore di chi una rivoluzione l’aveva affrontata, clandestinamente, con le armi dei fuggiaschi, pellegrini in patria, ma fieri partigiani, tuttavia da usare in modo obbligato solo in quel frangente. Altrimenti, anche quel modo di fare la guerra era negativo, era abbrutente.
Marcella Gay mi ha fatto leggere i classici della letteratura, mi ha infuso l’arte della dialettica e della visione mai scontata della realtà, che era il suo “cavallo di battaglia”, razionale, realistica e scientifica. Mi diceva: vedi quella cosa, ti si presenta in una maniera, semplice apparentemente, ma se la vedi da più aspetti, è diversa, quasi complicata e complessa. Iniziai così ad avvicinarmi, già al liceo, verso i misi 16 anni, alla psicoanalisi, che non ho mai abbandonato.
E quando ho dovuto affrontare la mia tesi di laurea su Piaget, all’università di Padova, con il mio caro Prof. Gabriele Di Stefano, docente di epistemologia genetica, mi rivolsi ancora a lei, il mio riferimento etico, ma anche morale, di studio, esistenziale, terapeutico, per sempre. Perché era questo di cui avevo bisogno e così gli studenti attorno a Marcella Gay, una persona a cui chiedere di sapere cosa fare, non solo per ottenere consigli, ma anche una direzione di vita, in ogni campo che le proponevamo.
Era una vera intellettuale, dal lessico forbito e mai scontato, ma anche una donna forte, dall’equilibrio stabile, che infondeva sicurezza e voglia di imparare e fare le cose. Eh, sì, perché sovente, oltre a correggere la mia tesi, mi diceva, ancora ai tempi dell’università, che bisogna “fare le cose”, mettersi a sperimentare la vita.
Credo che come partigiana avesse appreso proprio questo, la vita era azione!
Per permettere di credere a tutti in alti valori umani, che da allora, dal ventennio fascista, erano scemati. Di rispetto delle minoranze, della diversità in generale, delle donne, degli ebrei, dei bambini, dei disabili, di tutti coloro insomma che dignitosamente pretendevano il riconoscimento civile, soprattutto dallo stato.