Con la metafora “tetto di cristallo” noi donne occidentali abbiamo indicato le barriere visibili e invisibili che impedivano la nostra “crescita” in ambito professionale, la difficoltà a raggiungere posizioni di vertice e responsabilità. La sua rottura è stata l’ispirazione del femminismo rivoluzionario e l’aspirazione riformista che ci ha accompagnato fino ad oggi.
Pur essendo cambiata la condizione generale delle donne, certo il medioevo è superato, non potremmo dire che le azioni per frantumare questo tetto, ove sia stato possibile, non siano costate “lacrime e sangue”.
Le donne non hanno mai cessato di combattere contro stereotipi culturali, soggezioni familiari, dipendenza economica, violenza alla persona.
Tutte “questioni”non risolte e rimaste avvolte dal velo dell’ipocrisia politica che con una mano dà e con l’altra toglie.
In particolare il tema dell’acquisizione della rappresentatività, non una concessione numerica, non è ancora considerato un normale svolgimento della democrazia, ove siano presenti i requisiti atti a svolgere tale impegno.
Tant’è vero che l’elezione di una donna a Presidente del Consiglio in Italia, ha destato molto scalpore anche fuori dai confini.
Più obiettivamente, non per questo risultato possiamo dire che si sia raggiunta una rappresentanza paritaria né che sia una garanzia che le questioni che riguardano più da vicino le donne siano inserite nell’ agenda politica.
Altrettanto vero che questa elezione non può di per sé sanare-compensare le motivazioni che spingono a promuovere le pari opportunità come valore aggiunto di un processo politico.
Se nel nostro Paese l’elezione a Presidente del Consiglio di una donna è stata accolta come una sorta di prodigio da alcune e una sciagura da altre, va considerato che entrambe le opzioni dipendono da quale parte si osserva. La rappresentanza femminile non può essere considerata positiva solo quando sia di personale gradimento e, la sua conquista, prescinde dagli orientamenti politici.
Altrimenti perché quando una donna sale al potere negli altri paesi si è pronte a prenderla ad esempio anche se ideologicamente non si ha niente da spartire?
Se il valore della parità (che non riguarda solo un genere) è stato ed è un cavallo di battaglia delle donne non può che considerarsi un obiettivo comune e non una circostanza temporale.
Su questo punto sarebbe auspicabile fare chiarezza.
Che le donne dicano, una volta per tutte, se le loro battaglie sono “ideologicamente” partigiane o appartenenti al movimento femminista-femminile globale in cui tutte ci si riconosce e a cui tutte si fa riferimento ormai da oltre mezzo secolo. Salvo non considerarlo altro che un contenitore virtuale di cui fare uso ed abuso in modo strumentale.
Le contraddizioni presenti vanno analizzate, i fili ingarbugliati vanno dipanati, la rete deve pescare anche tutte le altre donne che vivono nelle periferie del mondo, nelle aree geografiche più sfortunate e che combattono non per rompere un tetto di cristallo ma per sopravvivere su un pavimento di cemento. Che le obbliga, le rende schiave, spose bambine, vittime di mutilazioni genitali, di violenza, di ignoranza, che le priva dei diritti fondamentali di libertà e di rispetto alla persona. Questi fatti precedono la tragedia della pandemia e del conflitto ucraino che ne hanno aggravato la situazione.
Che siano donne iraniane, afghane, indiane, ucraine, africane ecc. Nord e Sud del mondo, davanti alla sofferenza di migliaia altre che restano prigioniere di una condizione che non hanno scelto ogni altra pretesa sbiadisce.
Ed ancora le donne, protagoniste delle battaglie ambientali, dei cambiamenti metropolitani, dell’innovazione tecnologica, della famiglia nucleo sociale ed economico, non possono limitarsi a grandi enunciazioni di promesse impossibili né ad isolarsi in un limbo autoreferenziale.
Le divisioni e i velleitarismi non hanno mai giovato alle grandi battaglie.
Tutte quelle che sono libere di dire, le donne “privilegiate” dell’occidente che lamentano ulteriori bisogni, avranno la consapevolezza delle conquiste ottenute nel tempo se anche una sola restasse prigioniera?
Nel 2008, Hillary Clinton durante la corsa verso la Presidenza degli Stati Uniti, dopo avere vinto le primarie ringraziò le sue elettrici con queste parole:
“Non siamo stati in grado di rompere il soffitto di cristallo più alto e più resistente della nostra epoca,ma grazie a voi adesso quel soffitto ha 18 milioni di crepe […] D’ora in poi, non sarà più sorprendente che una donna vinca primarie negli Stati, né che una donna sia in corsa per la nomination, né che una donna diventi il presidente degli Stati Uniti».
Non fu eletta e il cristallo resse alle crepe.