di Marta Ajò
Tina Anselmi è stata chiamata a percorrere il più difficile viaggio della sua vita. Lei che di percorsi faticosi ne aveva intrapresi fin da giovane, si è avviata verso l’ultima meta in modo discreto come è sempre stato il suo stile, lasciando però un segno profondo nella storia del nostro Paese.
Perché Tina, come la chiamavamo tutte noi che l’abbiamo conosciuta, voluto bene, stimata, quella con cui c’incontravamo, scontravamo, parlavamo, rispettavamo nelle comuni battaglie, altro non era che una di noi.
Per sapere chi è stata Tina Anselmi, basta un click su qualsiasi motore di ricerca. Quello che non potrà apparire invece è la forza del suo carisma, non solo politico ma anche umano.
Il mio ricordo va in questa direzione.
Per tutte quelle giovani donne impegnate in attività politiche e sociali, che hanno avuto il privilegio di conoscerla, ha rappresentato un riferimento e un esempio a cui ognuna aspirava.
Del suo passato di giovane staffetta partigiana, del suo ruolo all’interno della Democrazia Cristiana, degli incarichi di responsabilità governativa ne provavamo fascino e timore.
Quando l’ho conosciuta, ero presidente del Comitato per la parità del Ministero degli Esteri.
Le divisioni politiche e di appartenenza hanno sempre costituito un limite all’incontro tra pari e diverse. Mi preparai a quell’incontro come Davide contro Golia.
Perché Tina era un gigante della politica ed io mi sentivo piccolissima. Quando la vidi entrare, mi parve subito che ci studiassimo e che, dopo le presentazioni istituzionali, un moto di curiosità umana ci sfiorasse. Pensai che forse con quell’interlocutrice il muro dell’appartenenza poteva essere abbattuto.
Me lo raccontavano i suoi occhi vivaci e intelligenti, il suo sorriso bonario, il calore con cui si rivolgeva ad altre. Fino a quel momento ero decisa a difendere il mio ruolo, ma presto mi accorsi che non c’era bisogno di alzare scudi né di pensare a compromessi e che forse bastava trovare soluzioni di buonsenso. Bastava solo ragionare nel comune interesse e presto ci saremmo ritrovate insieme.
La volta successiva, fu a New York.
Entrambe chiamate ad occuparci di politica di genere ad una delle Assemblee delle Nazioni Unite.
Dagli incontri nei lunghi corridoi, dai larghi spazi che ci accoglievano, passammo a frequentarci fuori da quel Palazzo.
In casa di una giovane diplomatica con la quale aveva un rapporto quasi familiare e che accorciò le nostre distanze.
Fuori dagli schemi e dai ruoli, colsi una persona migliore di quella che l’immagine pubblica trasmetteva.
In quella stanza newyorchese, da cui si vedevano i grattaceli di Manhattan, sedevamo stanche mentre un bambino abbracciava Tina. Che lo aveva visto nascere, crescere e che le ricordava i nipoti. Cene, discussioni, passeggiate, stanchezze ci resero quel lungo soggiorno di lavoro un piacevole incontro tra amiche.
Era inevitabile che parlassimo di tante cose. Di New York, del nostro girovagare, della politica e l’ottica femminile di essa, le differenze da difendere come ebbe a dire in un’intervista al giornale La Repubblica:
“Noi facciamo politica in un modo diverso. Siamo molto più concrete e meno ideologiche, abbiamo più capacità di arrivare a una soluzione di compromesso senza partire da Adamo ed Eva. Siamo più pragmatiche e, diciamolo, anche più oneste. Forse perché siamo arrivate al potere da poco e lo viviamo come un servizio, non come una passione personale. “
Era convinta che la concretezza e la moralità fino a quel momento non compromessa della classe dirigente femminile potesse aiutare la crisi di credibilità politica nel suo insieme, bastava solo ci fosse una maggiore rappresentanza di esse nei posti del governo. Che le donne, una volta conquistati ruoli chiave, avrebbero potuto svolgere un’azione promozionale verso altre, trasmettere un messaggio di consapevolezza ed impegno diretto. “Che la presenza femminile in politica, nei posti cosiddetti ‘di potere’, non serve soltanto alle donne, ma serve a migliorare la qualità della società. Per tutti».
Tina infine fu quella di cui il Presidente del Senato Grasso ha voluto ricordare con queste parole: ,
“La linea di serietà, dirittura morale, adesione ai principi costitutivi della Repubblica e dell’antifascismo, il suo contributo alla ricostruzione del Paese dopo gli anni della guerra e della lotta partigiana e poi l’impegno negli anni dello scandalo P2, impegnata a ricostruire il tessuto morale e civile del Paese è questa la grande eredità che ci lascia, insieme ad un esempio di condotta esemplare in politica e nelle Istituzioni, dove ha sempre mostrato il più profondo rispetto per le ragioni degli interlocutori”.
Vorrei concludere questo ricordo con un ringraziamento a Tina per il suo impegno e i suoi insegnamenti che la rendono sicuramente un esempio di partecipazione, di condivisione di obiettivi comuni che purtroppo appaiono sempre più sbiaditi.
Spesso ho pensato a lei. Mi è sempre rimasta la voglia di rivederla e parlarle ma le strade da noi frequentate in politica, che spesso uniscono, più spesso separano.
Marta Ajò
per Dol's Magazine