Appena arrivata al top di Yahoo, la superpotente Meyer ha tagliato il lavoro da casa. Per sé (facendo costruire una nursery per il suo neonato) e per i comuni mortali. "Dobbiamo lavorare fianco a fianco", ha detto. Rilanciando discussioni: lavorare da casa è un’opportunità, o una nuova gabbia? Aiuta a bilanciare famiglia e lavoro, o danneggia l’impresa?
Delle 500 maggiori imprese americane per fatturato (le cosiddette Fortune 500), solo ventuno sono guidate da donne: il 4,2%. Forse per questo ci si aspetta dalle donne che arrivano al top non solo impeccabili performance lavorative, ma anche la volontà di portare avanti la battaglia per le pari opportunità di tutte quelle che il top non lo raggiungono.
Grandi erano dunque le aspettative per Marissa Mayer, 37 anni, quando negli luglio 2012 ha lasciato Google per assumere il ruolo di presidente e amministratrice delegata di Yahoo, diventando la più giovane donna a capo di una Fortune 500 e la quattordicesima donna d’affari più potente degli Stati Uniti, con uno stipendio annuo superiore al milione di dollari.
L’entusiasmo è però durato poco. La Mayer ha da subito dichiarato di volersi prendere solo un paio di settimane di licenza di maternità e di voler lavorare comunque, anche in quelle settimane, contrattando una tata e facendosi costruire a proprie spese una cameretta per suo figlio vicino all’ufficio. Non proprio un esempio seguibile per i milioni di donne lavoratrici che cercano di equilibrare lavoro e famiglia con stipendi decine di volte inferiori al suo.
Le cose sono poi peggiorate quando il 22 febbraio di quest’anno, in una delle sue prime azioni principali da dirigente, la Mayer ha mandato un memo agli impiegati di Yahoo, spiegando che, a partire da giugno, tutti coloro che stanno lavorando da casa dovranno iniziare a recarsi in ufficio. Secondo la Mayer, questa scelta è necessaria perché “per diventare il miglior posto al mondo in cui lavorare, la comunicazione e la collaborazione sono importanti, quindi dobbiamo lavorare fianco a fianco”. La decisione arriva in un momento di crisi per Yahoo, il cui valore di mercato è precipitato negli ultimi dieci anni (da 125 miliardi di dollari nel 2000 a 25 miliardi di dollari oggi) e la cui produttività per lavoratore è 160% inferiore a quella di Google.
Al di là della sua valenza per i lavoratori di Yahoo, il memo ha avuto il merito di fomentare un dibattito sugli effetti e le potenzialità del telelavoro che ha coinvolto economisti e sociologi, fino a raggiungere l’americano comune.
Secondo l’Economist, la scelta della Mayer è un errore strategico perché per fiorire le imprese devono credere nel proprio personale e incentivarlo a lavorare laddove è più produttivo e può bilanciare lavoro e famiglia. Larry Howes, della rivista Forbes, critica invece la decisione della Mayer non tanto nel contenuto, ma nelle forme, argomentando che l’abolizione del telelavoro avrebbe dovuto essere comunicata come una misura temporanea e di prova, tesa a capire come aumentare la produttività della compagnia, invece che una politica decisa in via definitiva “dall’alto”.
Le femministe Maureen Dowd (New York Times) e Joanne Bamberger (Huffington Post) criticano poi la Mayer per un provvedimento che vedono in contrapposizione alle necessità delle donne lavoratrici meno fortunate (e pagate) di lei, per le qual il telelavoro rappresenta uno strumento indispensabile per bilanciare famiglia e carriera.
Infine, in molti sostengono che la disposizione della Mayer riflette una valutazione della performance lavorativa anacronistica e improduttiva, basata più sulla quantità di ore spese davanti al computer sotto gli occhi del proprio capo che sui risultati.
Nell’altro campo, a difendere la Mayer ci sono coloro che, come Dominic Basulto del Washington Post, ritengono che la presenza fisica, le discussioni faccia a faccia e le riunioni di lavoro siano necessarie per incentivare il lavoro di squadra e creare quella cultura d’innovazione di cui Yahoo ha bisogno. Lavorando da casa, poi, sostengono altri, si perderebbero quelle opportunità inaspettate di brainstorming che alle volte sono la scintilla delle grandi idee. Anche molti impiegati di Yahoo si sono espressi in favore della Mayer, testimoniando che la politica di telelavoro sarebbe stata spesso abusata dagli impiegati della compagnia.
Secondo quanto riportato dalla CNN, il 65% degli Americani si dice favorevole al telelavoro e oltre il 40% considera che chi lavora da casa ha una vita famigliare più equilibrata. Con questa decisione, dunque, la Mayer rinuncerebbe ad attrarre una grande quantità di lavoratori e lavoratrici di talento, per cui la flessibilità è un requisito importante nella scelta dell’occupazione.
In realtà, secondo i ricercatori delle Università di Iowa e Texas, c’è ancora molto da fare affinché il telelavoro possa divenire uno strumento che aiuti davvero gli americani a bilanciare lavoro e impegni domestici. Se da un lato esistono statistiche chiare dell’impatto positivo del telelavoro per le imprese (più produttività e ritenzione del personale, meno assenteismo), mancano dati che riflettano il beneficio reale del telelavoro, per lo meno nella sua applicazione attuale, per la vita famigliare degli impiegati.
Mentre il 24% dei lavoratori dipendenti americani, infatti, dichiara di lavorare da casa almeno qualche ora a settimana, il 67% di queste ore sono in realtà ore extra, che non si sostituiscono ma si sommano alle ore lavorate in ufficio, allungando di fatto la giornata lavorativa. Secondo la ricerca, inoltre, a beneficiare in larga parte delle politiche di telelavoro sono principalmente gli impiegati nelle posizioni più alte, che godono di maggiore libertà e potere di negoziazione e le non le donne e i neogenitori, come si pensa comunemente.
Per diventare uno strumento di promozione delle pari opportunità, quindi, le offerte di telelavoro non solo devono aumentare, raggiungendo coloro che ne trarrebbero maggior beneficio, ma devono rispondere alle necessità degli impiegati e non solo delle imprese.
Quanto alla leadership femminile, c’è da chiedersi se non sia eccessiva l’aspettativa che le donne al top diventino eroine delle pari opportunità e se non dovremmo invece iniziare a chiedere maggiore sensibilità su questi temi anche a quel 95.8% di amministratori delegati che ancora sono uomini.