Per quanto la definizione di anzianità si sia modificata rispetto ai tempi passati, in cui per chi avesse raggiunto almeno 70 anni era una conquista e un dono riservato a pochi fortunati, studi recenti affermano che il processo d’invecchiamento si è di molto rallentato. Oggi, l’aspettativa di vita è assai più lunga inducendo molti sociologici e scienziati a riconsiderare le fasce e le soglie dell’età.
Lo schema di terza età, in cui si collocavano gli anziani di allora, ha oggi una forbice più larga ed è legata ai cambiamenti della scienza, della medicina, della condizione di vita, della capacità cognitiva individuale, uomo o donna che siano. Insomma oltre alla fascia di terza età, si parla persino di quarta e quinta età (85-99anni). Risultato di un insieme di fattori biologici, culturali ed economici che rendono possibili maggiori aspettative di vita.
Questo schema, pur validato da interessanti ricerche, continua ad avere nell’immaginario collettivo un valore stereotipato e pregiudizievole.
Prendiamo una categoria nella categoria: quella delle donne anziane.
Conservatrici e trasmettitrici di affetti e valori, di storia e cultura ma considerate generalmente nonne, indesiderabili, inaffidabili, bisognose, inattive, costose, socialmente problematiche.
Non importa che esse continuino a svolgere molte funzioni attive ed utili. Dal badare, quando non crescere i nipoti, sostitute di alcuni servizi, sostegno economico di intere famiglie.
In particolare, l’atteggiamento delle anziane è segnato dalla complessa vita relazionale nell’arco dell’intera vita. Atteggiamenti comuni sia a quelle sposate con figli che alle altre.
Ciò confermando in linea di massima le differenze di comportamento che caratterizzano i due generi all’interno di una società che al contrario poco le contempla.
Non è una riflessione buonista.
La donna in genere e in tutte le fasce d’età, per sua natura (che non vuol dire obbligo o destino né difetto o pregio) tende a creare attorno a sé un nucleo familiare o similare, avere figli e relazioni. L’accudimento, la cura, il “servizio” non sono che forme diverse di questa dimensione.
La moltitudine di questi impegni, che “riempiono” la vita della donna adulta-giovane per molti decenni come fatto “naturale”, rivelano una sostanziale disomogeneità quando, esautorato il ruolo materno, sociale, lavorativo essa raggiunge quella soglia di età indicata come terza età e il bilancio gioca quasi sempre a suo sfavore.
Quando i figli si rendono autonomi, quando l’iter lavorativo si è concluso magari in spareggio, quando i rapporti con il partener-marito-convivente si dileguano nella routine o nella vedovanza, quando la propria femminilità sbiadisce, quando i progetti o le battaglie si rendono impossibili, quando il futuro si accorcia, ebbene cosa resta nella vita delle anziane?
Le risposte sono tante. Tutto o niente, dipende da chi, dove.
Piace sempre ricordare donne straordinarie, che hanno contribuito alla storia, alla scienza, alla cultura ecc. pur nella loro lunga vecchiaia-maturità ma è pur vero che ce ne sono tante altre che ancora si aggrappano a sogni impossibili, quelli che sarebbero forse realizzabili solo con un colpo di fortuna. Che raramente colpisce.
Una vincita, un imprevisto, che non chieda dati anagrafici, che non baci solo le giovani e le belle.
E sognando case per figli e nipoti, una vacanza, una badante specializzata, un lascito per ciascuno, giorni di riposo senza assillo di pagamenti, di file agli ospedali, basterebbe loro chiudere il percorso senza dovere chiedere aiuto a nessuno ed avere compiuto quanto dovevano? potevano? senza sofferenza e con la coscienza tranquilla.
nella foto: Maria Tamponi Attene (foto privata e non replicabile)