di Stefania Cingia su Radio Bullets
È quell’uno che fa diventare questa cifra molto più reale. Anzi, quell’una. Una dopo l’altra. Una e poi l’altra e poi un’altra ancora e così. Fino a 122.301.
122.301(a) sono le madri adolescenti in Ecuador e dal 2002 al 2010 i parti di bambine dai 10 ai 14 anni sono aumentati del 78,1%, che significa che 3.864 bambine sono diventate madri per colpa della violenza sessuale.
L’80% di queste violenze sono commesse da famigliari vicini alla vittima. La maggior parte delle vittime non denuncia: il 40% delle bambine e adolescenti abusate non denunciano, perché da una parte non sono credute e dall’altra viene loro chiesto di non dire a nessuno della violenza.
Diverse organizzazioni per i diritti umani stanno proponendo la campagna #SecretosFamiliares per attenzionare un problema reale e latente in Ecuador: la violenza sessuale sulle bambine e l’incesto.
Andiamo ancora di numeri, per capire la portata del fenomeno: ogni giorno in Ecuador sei bambine diventano madri a causa della violenza. Il 40% degli aggressori abusa più volte della stessa vittima e il 14% lo fa in forma sistematica.
Il documento Vidas Robadas, della Fundación Desafío, istituzione ecuadoriana femminista che si occupa della promozione e della difesa della donna, snocciola dati e statistiche che in realtà non sono numeri, ma bambine, e quando te lo ricordi comincia a girarti la testa.
Nel documento ci sono due pagine di tabelle in cui non ci sono numeri, ma storie, testimonianze di bambine violentate. Ne riporto un paio, ma le altre non sono più leggere: “C. ha 13 anni, madre di un bambino di tre, colombiana, è stata violentata ripetutamente da un sequestratore che la teneva incarcerata con altre bambine vittime di tratta. Scappò in Ecuador, ma né lei né suo figlio hanno i documenti. Non può studiare e il suo livello di scolarizzazione è basso”. C., invece, ha 12 anni, una figlia di due, e fugge varie volte da casa perché sua mamma la maltratta. Viene violentata da un uomo di 58 anni che le dava dei soldi per le sue necessità. Quando è rimasta incinta, lui è sparito. Lei non voleva relazioni sessuali.
In Ecuador, l’art. 171 del Codice Penale, entrato in vigore il 10 agosto 2014, sostiene che ogni gravidanza di bambine minori di 14 anni è considerata sempre come prodotto di una violenza. Nonostante la legge, tutte queste bambine e adolescenti, che abbiano denunciato o meno, sono obbligate a portare avanti la gravidanza perché in Ecuador l’aborto volontario solo è consentito se la violenza è stata commessa su una donna con problemi mentali. Una doppia violenza: la violenza sessuale e la violenza di portare avanti una maternità forzata. L’età di queste bambine, sommata alla problematica di genere e dell’appartenenza a una classe sociale disagiata, le pone in una situazione di particolare vulnerabilità. La società in cui vivono queste vittime è caratterizzata dal machismo e patriarcato, genitori che naturalizzano la realtà di violenza e si focalizzano sull’insegnare a essere una buona madre invece di aiutarle nella vita.
Le bambine e le adolescenti stesse si sentono responsabili e in colpa della violenza, così che non denunciano e mettono la propria vita nelle mani dei figli. Si allontanano dalla propria vita per poter stare in qualche modo nella situazione che non appartiene loro e che non hanno scelto.
Le conseguenze fisiche e psicologiche sono devastanti. Le bambine minori di 16 anni non sono adatte a portare avanti una gravidanza e a partorire. Hanno 4 volte di più la probabilità di morire rispetto a una donna di vent’anni e la tassa di mortalità infantile è del 50% superiore. Adattarsi a una realtà non ha niente a che vedere con desiderarla o tantomeno costruirla. La nuova realtà in cui sono immerse queste bambine-madri crea depressione, confusione, ansia e indifferenza. Non è detto che si crei un vincolo di amore e di affetto tra madre e figlio. Alcune di loro non volevano riconoscere il figlio come proprio, altre non hanno ricordi del momento del parto, altre non volevano prendersi cura del bambino. Nessuna di loro era fisicamente e psicologicamente pronta a diventare madre. Hanno dovuto impararlo, non in maniera naturale.
Dal punto di vista sociale, queste bambine-madri sono lasciate sole, colpevolizzate per la violenza subita, etichettate come negligenti. Lo stato non riconosce un supporto a queste bambine vittime di violenza. Non offre alternative perché continuino gli studi, non risponde in modo adeguato alle poche denunce che vengono registrate, non esiste un sistema di protezione integrale e non ci sono programmi di sostegno e sostentamento. Semplicemente, non esistono. Lo stato preferisce che queste bambine assumano il ruolo di madri e ci pensino da sole, piuttosto che riconoscere che il problema è reale ed è grave.
Quando vivevo in Ecuador passavo tutto il mio tempo tra gli abitanti del pueblo delle Ande in cui vivevo, oltre che con altri volontari. Se penso a quei paesaggi, mi vengono in mente i lama fuori da casa, le grandi cime, i nonni al centro per anziani, gli uomini alle feste, la signora che vendeva pollo fritto davanti alla chiesa, un uomo che gridava caramelle ogni martedì a mezzogiorno, le donne che alle cinque di mattina andavano a mungere le vaquitas, i ragazzetti alla scuola, l’odore della pelle dei bambini che sapeva sempre di latte, le bambine con i fratellini e le sorelline sulla schiena. E mi ricordo chiaramente che mi chiedevo se fossero realmente fratellini o sorelline o non piuttosto figli e figlie. I #SecretosFamiliares, segreti famigliari, li avevo molto vicino anche io, tanto da vederli, sentirli e toccarli.
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