Decisiva la convenzione di Lanzarote, la cessazione della coabitazione non determina il venir meno dei vincoli: la presenza di un minore fa perdurare gli obblighi nei confronti del soggetto debole
Anche quando la convivenza di fatto cessa, l’ex partner può ben rispondere penalmente per il reato di maltrattamenti in famiglia se dalla relazione è nato un figlio. A sancirlo è la Cassazione con la sentenza 25498/17, pubblicata oggi 22 maggio dalla sesta sezione penale.
Gli “ermellini” rigettano il ricorso di un imputato per il reato di maltrattamenti in famiglia ex articolo 572 Cp, condannato dalla Corte di appello a un anno e quattro mesi (sono contestate anche le lesioni aggravate e la minaccia). Secondo la difesa del ricorrente, il giudice di seconde cure avrebbe erroneamente ritenuto integrato il reato ma gli episodi contestati erano avvenuti successivamente alla cessazione della convivenza more uxorio tra l’imputato e la persona offesa. Inoltre, il rilievo dato alla filiazione naturale non avrebbe dato riconoscimento alla famiglia di fatto soprattutto in caso di mancata convivenza. Proposto ricorso in sede di legittimità, il Palazzaccio lo rigetta richiamando la legge 172/12 (Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007). A godere della tutela penale, secondo il legislatore, è l’individuo offeso dal reato in questione, intendendo con tale espressione tanto il componente della famiglia quanto il convivente di fatto. Il fatto che cessi la convivenza o la coabitazione, «laddove vengano in considerazione condotte di maltrattamento di cui all’articolo 572 Cp adottate in un contesto familiare, diviene recessivo e non rilevante al fine di escludere l’integrazione della fattispecie criminosa».
La cessazione della convivenza, infatti, non determina il venir meno «di vincoli e obblighi tra i componenti del nucleo familiare, restando i primi sostenuti dall’istituto del matrimonio e dalle leggi di disciplina del derivato rapporto di coniugio o ancora dal rapporto di filiazione». Ma c’è di più. La presenza di un figlio è «portatrice nei confronti di un soggetto debole e rispetto agli ex conviventi di obblighi, da misurarsi sullo stato giuridico riconosciuto nel nostro ordinamento a tutti i figli legittimi e naturali, destinati a protrarsi anche dopo la cessazione della convivenza, in tal modo trovando definizione, per la norma in applicazione, una nozione estesa di famiglia comprensiva di forme alternative a quella derivante dal matrimonio, ma destinate ad assumere identica dignità e tutela». Non c’è alcuna violazione di legge, così come prospettato dal ricorrente nella decisione impugnata: il collegio rigetta il ricorso.