Quegli occhi che parlano

da | Mag 25, 2024 | L'impertinente

La verità?
L’ho scritto e cancellato, poi riscritto e ricancellato, poi eccomi qua.
A dire che non è così strano il bisogno di parlare dei nostri amici a quattro zampe, anche se ci sono, come molti direbbero, tanti problemi più gravi e più urgenti.
Perché lo straordinario rapporto che questi animali hanno sviluppato con gli esseri umani merita rispetto e qualche attenzione in  più e non basta peraltro che attorno a queste creature si manifesti  una forma di amore persino compulsivo.

Un sentimento che, ne siamo consapevoli,  alimenta una filiera di prodotti a loro dedicati di cui la principale è quella alimentare che produce  tipi di cibo per varie patologie, per varianti di peso, di età (oltre ai prodotti d’igiene, accessori ecc.). Un mercato internazionale che specula, con enormi investimenti di marketing e di pubblicità e il cui recupero di guadagno non può che andare a discapito della qualità finale del prodotto. Poi certo ci sono anche aziende virtuose, poche.
Attorno a questo investimento i fatturati aziendali sono vorticosi anche perché tutto è poco regolamentato e quindi difficilmente perseguibile.
Ancora più grave che, per implementare gli affari,   si utilizzi spesso la sperimentazione su altri animali, provocando malattie dolorosissime o inducendoli a iperalimentazione,  per testare nuovi medicinali da proporre e di cui beneficia la stessa industria farmaceutica.
Anche l’accanimento terapeutico, la specializzazione veterinaria, non sempre si è dimostrata corretta.
Diciamo che comunque, per corrispondere al grande amore, amicizia, fiducia che questi esseri ripongono in noi, siamo disposti a fare quasi di tutto.

Ma quelli che non vivono con noi?
Anche se  la sensibilizzazione verso la  loro sorte ha fatto nascere e crescere strutture di accoglienza, chi controlla che siano adeguate e non speculative? Che questi amici a quattro zampe non cadano vittime di sfruttamento e di inadeguatezza? Spesso in questi spazi arrivano cani deboli, malati, troppo giovani o troppo vecchi per sopravvivere in condizioni inadeguate. Animali gestiti come strumento tramite cui chiedere aiuti privati e pubblici.

A tutto ciò, nell’era del progresso tecnologico, si aggiungono cani e gatti mediatici.
Basta navigare su Internet.
Messi li magari per chattare, per apparire, per acchiappare un like, forse per esperire una piccola truffa.
Occhi dolorosi, che sperano muovere a simpatia, a pietà, suscitare la voglia di offrire loro migliore vita. Restando immagini e numeri nel grande spazio degli internauti.
E verificare ancora una volta la benedizione  e la maledizione del virtuale, in cui tutto sembra a portata di soluzione e niente è raggiungibile.
E che basti condividere per mettere a posto la coscienza.