di Raffaella lamberti su SERVER DONNE
L’intervista riguarda la lunga esperienza che Orlando ha fatto, spesso in rete con altre donne singole e aggregate, in una decina di anni in materia di pratiche partecipative di diversa natura.
Parlare di pratiche politiche partecipative rimanda subito alle difficoltà e limiti che riguardano le democrazie rappresentative, la loro distanza dalle donne e uomini che vivono entro le loro cornici e meccanismi di funzionamento con desideri e problemi vitali. Una risposta sperimentale, per quanto parziale e situata, a insufficienze e inadeguatezze evidenti, che non si limita a constatare come, sia pure in crisi e contrassegnate da scandali e sprechi, quelle democrazie delimitino tuttora un perimetro preferibile a regimi innominabili e violenti. Di fatto negli ultimi anni le esperienze di tale natura si sono moltiplicate; esistono oggi legislazioni a livello generale – il dibattito pubblico in Francia o i bilanci partecipativi in Brasile, per nominare cose notissime – e regionale che prevedono pratiche di tal genere. Per esempio, esiste una normativa nella regione Toscana e una analoga in quella emiliano-romagnola per la promozione e il sostegno ai processi partecipativi e deliberativi.
Nell’intervista si risale a quando Orlando ha cominciato tra 2003/2004 con l’Agenda politica di donne: la città desiderabile, che ha coinvolto 600 donne ed è culminata in un Open Space Technology durato due giorni, cui hanno preso parte 300 donne. Esperienza che poi si è ripetuta nel 2011 al momento della presidenza in Orlando di Fernanda Minuz, con l’Agenda politica di donne. La città progettuale. Oggi stiamo ragionando di un percorso partecipativo e deliberativo che si occupi del gap tra donne e uomini nell’accesso e presenza nel mondo digitale e nella presenza civica per incidere sul Piano strategico metropolitano. Certo vi incide il ruolo crescente che ha il polo telematico/informatico dell’associazione, ora presieduta da una tecnologa come Marzia Vaccari. Ed è ovvio che per il gap citato ci sono ragioni: nei paesi OCSE (How’s Life 2013, rapporto OCSE) le donne italiane sono le prime per il tempo dedicato al lavoro domestico e di cura, mentre sono quelle che lavorano di più al mondo secondo documenti ONU.
Inutile ripercorrere ciò che l’intervista richiama; forse è utile sapere che ciascuna delle metodologie usate nel tempo rientra nei Large Group Interaction Methods, tecniche studiate per percorsi di ascolto, confronto e mediazione tra individualità e tra parti diverse anche in conflitto ove ciascuna/o può prendere parola e dove sempre si giunge a un esito, un instant report o un documento di proposta partecipata, che rispetta la discussione e che, reso noto alla cittadinanza, può essere oggetto di negoziazione con le/gli amministratori per incidere sulle politiche istituzionali (nel nostro caso locali). Si è appena concluso con forte presenza di Orlando un percorso dedicato a fornire indirizzi allo Statuto della futura città metropolitana di Bologna, dato che una trasformazione istituzionale rilevante attende la nostra come altre città italiane. Alcune informazioni in più: Orlando ha cominciato con Marianella Sclavi e con Iolanda Romano, figure eminenti nell’arte dell’ascolto la prima e nella realizzazione di town meeting la seconda. Il lungo percorso sullo statuto metropolitano appena nominato, che ha coinvolto 1500 donne e uomini e raggiunto 20.000 persone dell’area metropolitana, le ha viste di nuovo entrambe con noi (non da sole).
Novità per noi interessante, è che da tutto questo agire sta nascendo un gruppo di lavoro cittadino, costituito di donne e uomini giovani, attorno ad un’altra figura femminile: Micaela Deriu. Perché nominare innanzitutto donne riguardo ad un insieme di figure che conosce amici valentissimi e rispetto a un insieme di esperienze che ha visto processi partecipati faccia a faccia e online, nei nostri territori e in luoghi di guerre? Ci pare vero affermare che la ricerca delle relazioni e i metodi del consenso, piuttosto di quelli del prendere posizione e votare a maggioranza e minoranza, siano affini alle pratiche politiche che i femminismi e gli approcci nonviolenti ai conflitti hanno privilegiato. Naturalmente, tra i ”movimenti di democrazia” che abbiamo sotto gli occhi negli ultimi anni ce ne sono altri di grande interesse. Per esempio, per rimanere a Bologna, l’esperienza delle social street. Quelli che più ci interessano e coinvolgono, riguardano comunque democrazie del quotidiano, modi del dire e dell’agire che instaurano, o possono instaurare, mutamenti durevoli nelle vite di ciascuna/o. A questo ci viene di attribuire uno degli effetti delle pratiche di cui abbiamo detto qualcosa qui: il piacere di quasi tutte/tutti coloro che prendono parte a simili conversari liberi secondo il diritto all’essere ascoltate/i e il dovere di rispettare le differenze plurali in vista di una possibile condivisione.