di Letizia Paolozzi
Appelli al premier Conte, tanti. Scritti da scienziate per “un equilibrio di genere negli organi di rappresentanza”; sedici senatrici per le quali, nella fase di ripartenza del paese, non possono e non devono “mancare lo sguardo, il pensiero e i saperi delle donne”. Quattrocento esponenti della società civile hanno osservato “non solo un mancato riconoscimento al patrimonio di competenze femminili” ma anche una ingiusta “rappresentazione della nostra Italia”.
E’ una rivolta contro la composizione monosessuata delle diciotto task force costituite dal governo così da affiancarlo durante l’emergenza coronavirus. Una presenza femminile striminzita, una sgradevole sensazione di “mala education”.
Di questo mi pare sia convinto il gruppo di femministe firmatarie di “Salto della specie”. Che pure avanza riserve su un criterio prevalentemente quantitativo, se non spartitorio, della parità. Tuttavia ribadire ciò che ha elaborato negli anni il pensiero della differenza mi sembra limitativo. Non dovremmo, invece, indagare sul senso che oggi da più parti viene dato alle relazioni, sul desiderio di socialità, sulle contraddizioni che emergono in una fase nella quale la cura dell’altro consiste nello stare lontani?
Aver dimenticato le brave, le volenterose – e pure le incapaci, le pigre – cioè aver messo da parte un sesso è imbarazzante. Una malattia della memoria. Segnala un acciacco che non riguarda tutti gli uomini ma alcuni, ancora troppi, che però andrebbe indagato per trovare la medicina adeguata.
Quella di Angelo Borrelli, alla testa della Protezione civile, somiglia al classico cane che si morde la coda. “I membri del comitato tecnico-scientifico vengono individuati in base alla carica, come ad esempio il capo della Protezione civile o il presidente dell’Iss. Se queste cariche fossero state ricoperte da donne avremmo avuto nel comitato tecnico scientifico una componente femminile adeguatamente rappresentata”. Versione rudimentale e senza uscita della rappresentanza mentre gli uomini continuano a scegliere il politico, cuoco, calciatore, chirurgo, non curandosi del fatto che, nel mondo, i sessi sono due.
Altra spiegazione, più pensosa, quella dell’ex ministra alla Giustizia, Paola Severino: “Il merito per le donne non ha come riconoscimento naturale e obbligato il potere. E’ un po’ anche nostra responsabilità. Troppo spesso ci accontentiamo di essere brave” (intervista a Antonio Polito sul “Corriere della Sera” del 24 aprile). Non so se questa lettura così trionfale del potere funzioni: per le donne e pure per gli uomini.
Quanto a Emma Bonino dice che l’Italia rifiuta la “meritocrazia. Chi ha il potere sceglie con il pilota automatico gli uomini che conosce e che gli girano intorno”. Ma questa sorta di automatismo non sarebbe meglio chiamarla complicità sessuale?
In effetti, nel pianeta maschile sembra che, specialmente in politica, la predilezione vada alle filiere, alle bande, alle convenienze. C’è sempre qualcuno da ingraziarsi attraverso scambi più o meno appropriati (vedi la vicenda del Csm) quasi che, in tempi di crisi (e pure in tempi normali), la precedenza sia stata destinata agli uomini da un diritto ultraterreno.
Pure nel lavoro le donne sono in “Zona rossa”. Per molte dopo la fine del lockdown prosegue il confinamento. Non sanno se, dopo le prove di equilibrismo tra smart working e pratiche di cura, troveranno ad aspettarle un posto di lavoro nel momento in cui un numero maggiore di uomini (il 60%) ha ripreso i ritmi di sempre.
Intanto, un rapporto della Banca mondiale ha segnalato che i settori lavorativi più esposti alla crisi economica sono quelli femminili: colf, cameriere, parrucchiere, estetiste, figure impegnate nel turismo, del commercio, nella comunicazione.
La distribuzione del lavoro soffre di una forte asimmetria che si è esacerbata con la quarantena, nella fase della generale chiusura delle attività ma grave già in partenza. Squilibrio e ingiustizia si approfondiscono in quel luogo – la famiglia – che spesso costringe a scelte crudeli tra carriera e dedizione alle necessità della casa; percorso professionale e cura per la crescita dei figli.
Qualcuna ha già pensato a riorganizzarsi: estetiste, parrucchiere chiudono il negozio. Niente più affitto, paga ai lavoranti, partita Iva, commercialista; andranno a casa delle clienti. Se l’80 per cento del personale sanitario è composto da donne, se sono donne a reggere il peso della scuola e oggi della casa, il governo non se n’è curato e non ha varato misure particolari in favore dell’esistenza e della quotidianità femminile.
Comunque, Giuseppe Conte sulla “mala education” dei luoghi istituzionali ci ha messo una pezza. Ma dal momento che non è cosa di oggi (succedeva già prima, nei Cda rinnovati delle grandi aziende a partecipazione pubblica come Eni, Enel, Leonardo) e non dipende dalla malvagità del capo della Protezione civile questa irrisoria partecipazione, l’essere “rara avis” di sesso femminile nei luoghi istituzionali e apicali, bisognerebbe provare a maneggiare la questione in modo diverso dal passato.
Piuttosto che scannarsi sulle “quote rosa”: Non funzionano; possono essere un’arma temporanea; su una meccanicistica parità del: Tanti uomini e tante donne; su una conta disperante: Ce ne sono tre contro 25 e piuttosto che continuare a vedere uomini che, cadendo dal pero invocano: Ah, ci vorrebbe una donna! potremmo provare a costruire un ordine delle relazioni diverso dal passato, visto che stiamo forse abbandonando le vecchie forme di vita. E vorremmo abbandonare anche le vecchie forme del potere. Tra le quali: gli uomini con gli uomini e le donne con le donne.
Mi direte: Che me ne importa di una presenza femminile se segue le logiche date? Ma c’è una società reale convinta che bisogna rompere le catene chiuse, il soffocamento dei soli maschi. D’altra parte, la presenza femminile ha un senso se riguarda tutti, gli uni e le altre.
DeA, 21 maggio