di Sonia Berti
L’avevano definita «un soggetto femminile disinibito, avevano messo l’accento sul fatto che avesse «mostrato gli slip rossi mentre cavalcava un toro meccanico». E con queste motivazioni, nel 2015, i giudici della Corte d’Appello di Firenze avevano assolto sette giovani accusati di aver violentato una ragazza di 22 anni, ribaltando così la sentenza di primo grado.
Ora però è arrivata la condanna: non per il gruppo di giovani, ma per i giudici che quella sentenza l’hanno scritta. È firmata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e dice così: «Il linguaggio e gli argomenti utilizzati dalla Corte d’Appello trasmettono pregiudizi sul ruolo delle donne che esistono nella società italiana e che possono costituire un ostacolo alla tutela effettiva dei diritti delle vittime di violenza di genere.
È essenziale – continuano i giudici della Corte europea – che le autorità giudiziarie evitino di riprodurre stereotipi sessisti nelle loro decisioni, di minimizzare le violenze basate sul genere e di esporre le donne a una vittimizzazione secondaria con parole colpevolizzanti e moralizzatrici».
Mentre in Italia arriva questa notizia, c’è chi promuove l’operazione messa in piega. Ma se la classe politica pensa che un buono dal parrucchiere sia l’inizio di un percorso per eliminare la violenza e la disparità di genere, ci chiediamo se qualcosa dal 2015 ad oggi, sia veramente cambiato.
Una svolta va avviata su tutti i fronti, ma non bastano più le parole, servono soluzioni concrete. Dirigenti Industria ha rivolto lo sguardo fuori dal nostro Paese e ha chiesto ad alcune donne, che hanno raggiunto importanti ruoli a livello aziendale, di condividere alcuni spunti di riflessione a cui l’Italia potrebbe ispirarsi.
«Le aziende devono farsi promotrici di un cambiamento culturale, volto all’accettazione delle differenze attitudinali di uomini e donne, che complementandosi a vicenda possono rappresentare un valore aggiunto» sono le parole di Angela Qu, Chief Procurement Officer Lufthansa Group. Angela infatti ha avviato, all’interno di multinazionali, una serie di programmi di sviluppo del talento femminile, volti alla creazione del cambiamento culturale, ma anche al rafforzamento delle doti di leadership femminile.
Teresa Hitchings, che ha ricoperto vari ruoli executive in aree solitamente a gestione maschile come l’Operations e il Manufacturing, ha raccontato il processo avviato in Gran Bretagna quando, a cavallo tra anni ’90 e 2000, si è iniziato a dare valore al ruolo delle donne anche in ambiti Operations e Technology, promuovendo tra le aziende la differenza di genere come un importante valore, da cui far nascere confronti costruttivi utili allo sviluppo stesso del business.
Negli USA le statistiche mostrano un mercato del lavoro molto femminile in tutte le aree e ruoli: risultato di un percorso di cambiamento culturale che gli USA hanno iniziato ormai anni fa, costruendo un tessuto sociale sempre più aperto alle pari opportunità. «Un percorso – racconta Isabel deMars, Global Sourcing Process Excelllence Leader – che ha portato anche alla scelta di una Vice-Presidente donna, ma che è partito da piccoli cambiamenti: basti pensare a quante neo-mamme sono rientrate al lavoro dopo il parto, affidando la gestione del neonato al marito, senza per questo suscitare troppo sgomento, o al semplice fatto che nei bagni pubblici maschili di molti Stati americani si possa trovare il fasciatoio per neonati».
Questo sguardo fuori dal nostro Paese possa aiutare a comprendere come il cambiamento non avvenga dall’oggi al domani sulla base di una sentenza o si un decreto. Ma vada costruito a piccoli passi, molto concreti. Molto più simili ad un fasciatoio nel bagno degli uomini che a un buono per una piega ai capelli.
fonte: COMBONIfem