Ha ancora senso parlare di femminismo?
La domanda, un po’ provocatoria data la presenza di una femminista storica come Lea Melandri, interroga un folto gruppo di donne accorse presso una libreria di Arcore, in Brianza, dove Melandri è stata invitata per un incontro. Ma interroga in realtà tutti noi.
Perché quasi quotidianamente la cronaca ci sbatte in faccia storie di uomini che uccidono mogli, fidanzate, compagne, amiche o vicine di casa facendoci sentire arrabbiate e impotenti.
Un prezzo altissimo che le donne pagano per l’esercizio della loro libertà, la libertà di dire “non voglio” nel rifiuto di un rapporto sessuale non gradito, la libertà di dire “ti lascio” nel rifiuto di un rapporto basato sulla costrizione quando non sulla violenza.
Melandri nel rispondere introduce una parola che sempre viene rimossa e che genera scandalo: amore. Non fraintendiamo, però: non significa che gli uomini uccidono le donne per amore, “ma l’amore c’entra, dal momento che a uccidere sono uomini che hanno intrattenuto con la vittima una relazione intima”.
Quando lo scrisse nel 2011, anno di pubblicazione del suo libro Amore e violenza ora ripubblicato in versione aggiornata, la cosa fece rumore. E quindi ha sentito la necessità di precisare, nella prefazione alla nuova versione, che si riferiva “all’amore così come l’abbiamo ereditato, con quei vincoli di necessità, indispensabilità all’altro e dell’altro che stringono pericolose ‘unità a due’, rapporti fusionali e prevedibili strappi violenti”.
Perché gli uomini nascono da una donna e questa relazione madre-figlio si riproduce all’interno della coppia, a rapporti di potere rovesciati ma senza che il cordone ombelicale sia stato del tutto tagliato.
Ecco perché, ricorda la scrittrice, di violenza domestica si è cominciato a parlare solo nel 2007, quando ci fu la prima grande manifestazione delle donne con lo slogan “l’assassino ha le chiavi di casa”.
Negli anni Settanta, quando il femminismo ebbe la sua prima e più importante esplosione, si parlava solo di stupro e in concomitanza con fatti di cronaca terribili come quello del Circeo quando due ragazze furono rapite, violentate e torturate fino alla morte di una di loro da giovani vicini agli ambienti neofascisti romani.
Ma quindi: ha ancora senso parlare di femminismo?
La risposta è sì, perché non è compiuto quel lavoro di acquisizione di consapevolezza delle implicazioni di quello che chiamiamo “amore” e di quanto il maschile, inteso come sopraffazione, sia dentro di noi.
Melandri ha sottolineato più volte come questa cultura patriarcale sia interiorizzata anche dal genere femminile, “il genere” identificato con la sessualità e la cura e privato quindi del pensiero. E ha ricordato anche come le donne siano responsabili della trasmissione di questa cultura nella crescita dei figli e nell’educazione.
Il femminismo è come un fiume carsico, scompare e riappare a ondate, assumendo forme diverse. Non scompare definitivamente perché “la rivoluzione degli anni Settanta ha posto esigenze radicali e quindi era destinata a tornare”.
Non è facile però per chi ha vissuto la fase storica dell’autocoscienza capire le nuove forme attraverso cui si manifesta. Melandri ammette apertamente di far fatica a rapportarsi con associazioni come Non una di meno, dove le relazioni si basano non sulla soggettività (il partire da sé), ma sull’azione.
“Il lavoro sul sé non è separabile dal lavoro sociale, non si può cambiare il mondo senza cambiare sé stessi”: di questo ne è convinta e questo continua a insegnare nei laboratori di scrittura che tiene nelle scuole.
Non solo, lei stessa lo pratica continuamente mettendosi a nudo nel raccontare la propria vicenda personale, non esente dal contatto con la violenza in ambito famigliare e scolastico.
Riguardo poi alle discussioni che spesso agitano il mondo femminista sui rapporti con quello Lgbtq+, dichiara la propria apertura ad accogliere queste nuove soggettività, oggi maggiormente sotto i riflettori rispetto al femminismo.
Alle nuove suffragette rimprovera caso mai un’eccessiva politicizzazione del linguaggio, a causa della quale le ragazze faticano ad avvicinarsi.
Perché il linguaggio è importante e la scrittura aiuta a portare alla coscienza quello che è nascosto dentro di noi.
Lea Melandri con le organizzatrici. Foto: Annamaria ViciniFUTURAnetwork