Lo sguardo di mia nonna, di Rita Amabili

da | Mag 12, 2013 | Testimonianze e contributi

L’immigrazione, come “bandito dal proprio paese”[1]

Sul pianeta, in epoche diverse,  persone sono state trasferite, popoli sono stati deportati, “boat-people” sono stati abbandonati. Persone più ricche si sono sradicate dal loro luogo di nascita. Hanno tutti suscitato  diffidenza, dovuta semplicemente al fatto di essere diversi. Anche mia nonna l’ha vissuto: non era il segno di un’epoca ma piuttosto quello di una umanità.

Per me, l’immigrazione ha sempre avuto il volto di mia nonna. Nel 1925 lasciava la sua terra natale con i suoi due figli di 13 e 8 anni. Illetterata, non sapeva parlare che il dialetto della sua regione. Aveva il coraggio dei piccoli, di chi sogna un domani migliore, di chi ha spesso fame. Vittima di un paese che non sa più trattenere i suoi, era rigurgitata su un suolo straniero, sperando in un’ accoglienza che non può essere guadagnata in anticipo.

Lasciare il proprio paese al giorno d’oggi è molto diverso. Tuttavia, ciò resta una lacerazione profonda che perdura per parecchie generazioni. Lasciare tutto dietro di sé è sinonimo di strazio, soprattutto quando coloro che si abbandonano sono persone che hanno segnato profondamente la nostra esistenza.

Questa lacerazione porta in sé la sofferenza di un altrove che non è già più quello che si conosceva. In effetti, i ricordi sottolineano un oggi che è cambiato dopo la nostra partenza. Il paese perduto sopravvive in sé come una ferita, mentre il paese reale è cambiato, diventando quello che l’immigrante non riconosce più.

Il Canada, terra di accoglienza per antonomasia, geograficamente attorniato d’acqua, non avrebbe potuto richiudersi su se stesso? Ma proprio la sua fecondità è differenza …

L’immigrazione come marcia: “percorreva cantando paesi stranieri”. 

Mia nonna non parlava molto bene il francese, ma aveva in sé il potere delle braccia aperte, del sorriso e del calore per colui o colei che la vita le offriva, per il tempo di un incontro.

Espatriare richiede la scoperta dell’altro. Cosa accadrebbe all’esiliato se rifiutasse la ricchezza di una relazione? L’immigrato impara a conoscere la sua nuova terra ricevendo le abitudini di chi l’accoglie. Lui disturba per ciò che è: proietta qualcosa di diverso, di sconosciuto, di rischioso.

E nello stesso tempo dona, perché accogliere lo straniero dà inizio a un andare e venire  di nuove conoscenze. L’adattamento può diventare solidarietà, non è l’intero pianeta un paese?

L’illusione di un benessere maggiore, il gusto dell’avventura, distinte convinzioni politiche, sono tutte ragioni per lasciare la madrepatria. Il domani assume l’aspetto di un ‘meglio’, poiché è immaginato. Sulla nave che la portava da Napoli ad Halifax, gli occhi di mia nonna scrutavano l’orizzonte. Cercavano già quell’altro, quel diverso, quel fratello, quella sorella sconosciuti? 

L’immigrato meno una parte di se stesso: “Va’ a dire ai miei amici che mi ricordo di loro”. 

Mia nonna un giorno si è messa a portare il lutto per un cugino che non aveva mai rivisto. La perdita di esseri che avevano formato il suo passato persisteva al di là degli anni. Se fosse tornata al suo luogo di origine, avrebbe potuto riabituarsi? Il suo presente non era più il suo passato. La realtà dell’ieri che portava come eredità si è trasmessa naturalmente alle generazioni che le sono succedute. Io sono e sarò sempre figlia di immigrati. Al mio interno, come tutti coloro di “seconda generazione”, non sarò mai l’una o l’altra delle nazionalità che sono appartenute a mia nonna. Il mio sentire di appartenere è stato più lungo da costruire. Sogno un paese arricchito dalle nazionalità diverse del pianeta. Sogno di dire ciò che sono e di ascoltare ciò che tu sei. Sogno un amalgama di sushi, di spaghetti, di couscous e di banane zuccherate. Sogno di guardarti e di sentirmene arricchita, di darti la mano perché tu possa rialzarti.

L’immigrato cerca un’ appartenenza : « Percorreva piangendo paesi stranieri » 

Immigrazione non farà mai rima con facilità, ma piuttosto con condivisione, scambio e bontà.

« In questi ultimi anni nel nostro paese c’è grande affluenza di persone che vengono dai paesi dell’Est. Tra loro vi è di tutto : gente onesta alla ricerca di un futuro migliore ma anche parecchi casi di delinquenza. Sfortunatamente c’è un inizio d’intolleranza nei loro confronti. Tuttavia, penso spesso che loro vivono la stessa situazione vissuta dai nostri compatrioti quando hanno emigrato verso paesi lontani ». (Maurizio Giudici).

Due generazioni dopo l’immigrazione, i discendenti si percepiscono come a cavallo tra due culture. Non sono più questi ma non ancora quelli. Lo sguardo di mia nonna persiste negli occhi dei miei figli. Esso sarà proiettato molto lontano nella storia umana raccontando il perpetuarsi di un’ umanità in parecchie culture, parecchi volti.

Rita Amabili


[1] Allusione a un canto canadese di 1839 “Un Canadien errant” di Anoine-Guérin Lajoie