Legge 40 e Legge 194, tra scelte individuali e responsabilità pubbliche chiamiamo la obiezione di coscienza “astensione facoltativa da prestazioni di lavoro” diritto della persona ma non della struttura. Azioni politiche, giuridiche e giudiziarie.
Già da tempo abbiamo evidenziato che da qualunque parte si guardi al tema della autodeterminazione e della maternità ci si trova di fronte a pubbliche responsabilità in una singolare forma di espropriazione e irresponsabilità, dove ciò che è intimo e personale viene sottratto alla sfera individuale e ciò che è pubblico viene scaricato in ambito privato.
Noi crediamo di avere dei diritti. Loro fingono di non avere dei doveri. E siccome il diritto è politica forse è il caso di ricordare che le strutture sanitarie hanno l’obbligo di garantire gli interventi di interruzione di gravidanza, siano essi volontari o terapeutici. Il principio è persino banale oltre che ovvio. Al singolo, sia esso un medico, un infermiere, un ausiliario è garantito potersi avvalere della “astensione facoltativa da prestazioni di lavoro” denominata obiezione di coscienza. Ma quel che è un diritto del singolo non è diritto della struttura sanitaria nel suo complesso, che ha anzi l’obbligo di garantire la erogazione delle prestazioni sanitarie sia nel caso della Legge 194 che nel caso della Legge 40.
E dunque che fare?
In primo luogo chiamare i comportamenti con il loro nome e dunque togliere l’aurea di santità a chi si astiene per un proprio interesse da una attività professionale prevista a favore di altri.
In secondo luogo chiedersi quanto costa alla comunità questa astensione generalizzata in tutti gli enti ospedalieri italiani da Bolzano a Siracusa.
E in terzo luogo proporre di individuare “lavori socialmente utili”, come per i disoccupati, per i ginecologi, gli infermieri, gli ausiliari, e tutti coloro che incamerano denari pubblici per astenersi da svolgere un pubblico servizio.
Il tema in fondo è anche il ripristino della legalità e la fine dello spreco di risorse pubbliche che sottraggono efficacia ed efficienza a chi chiede interventi sanitari e nel contempo arricchiscono chi non lavora e a cui nessuno ha mai chiesto di adoperarsi, nel tempo del non lavoro, ad altre attività o lavori di pubblico interesse.
Occorre uscire dal rapporto medico-paziente e rimanere nel rapporto tra paziente e struttura sanitaria dopo di che il problema della astensione dalle prestazioni di lavoro, così come delle ferie, dei permessi sindacali, della malattia dei dipendenti, ecc. rimane un problema della struttura sanitaria che deve adoperarsi per risolverlo. Anche attraverso la assunzione di personale non obiettore, e che tale rimanga, al fine di garantire il servizio essendovi il conforto della giurisprudenza dato che v’è alcuna norma di legge che impedisca alla struttura pubblica di assumere personale idoneo ad assolvere il compito istituzionale della struttura medesima.
E del resto già l’art. 9 della Legge 194 è esplicito al riguardo ed in tema di “obiezione di coscienza” del personale specifica che “gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono in ogni caso tenuti ad assicurare l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza”. E non è tutto perché il predetto articolo di legge dispone espressamente che “la Regione ne controlla e garantisce la attuazione anche attraverso la mobilità del personale”.
E dunque in tema di interlocutori e di obiettivi non potrà che essere nostro compito chiedere conto sia alla singola struttura che alla Regione che deve “controllare e garantire la attuazione anche attraverso la mobilità del personale”.
Ma tra le azioni giuridiche e giudiziarie del Comitato, che ha individuato tra le motivazioni e obiettivi delle proprie azioni anche la affermazione del valore sociale della maternità oltre che la autodeterminazione della donna nella scelta se divenire madre o meno, non può mancare la iniziativa di diffida alle Regioni affinché garantiscano, come previsto nel Piano Sanitario Nazionale, la assistenza domiciliare alla puerpera e al bimbo/a in un momento decisivo per la relazione tra l’una e l’altro, a garanzia della effettività del diritto alla salute psicofisica di entrambi. E del resto, sostenere il valore sociale della maternità significa all’evidenza sostenere le madri.
E sarà anche questa azione politica e giuridica un modo di riaffermare i diritti partendo dai doveri restituendo alla funzione pubblica la propria responsabilità e al corpo e alla vita delle donne la propria sovranità.
Commento di Marta Ajò
Una riflessione ulteriore sul tema dell’aborto, che la Chiesa tira continuamente in ballo come elemento di disturbo, provocazione o minaccia. In questo articolo ne parla Ileana Alesso, avvocata di Milano, all’Udi dal 2007. Tra le promotrici del Comitato “Quando decidiamo noi…”.