Il tema della dipendenza da gioco è purtroppo molto attuale. Sono venuta a conoscenza del caso di un quindicenne con questa attitudine e per questo possiamo fare un discorso generale rivolto a tutti i genitori: prevenire è la strada più semplice per evitare che il comportamento diventi patologico. È importante parlare ai ragazzi già nella più tenera età del valore illusorio del gioco d’azzardo, far loro comprendere come queste macchinette siano costruite per far guadagnare non il giocatore ma il gestore e non a caso sono dette macchinette mangiasoldi. È pura illusione pensare di arricchirsi in questo modo. Sì, perché all’inizio chi si accosta al gioco lo fa sperando di guadagnare facilmente cifre che con il lavoro, o la paghetta, non potrebbe ottenere: insegnare ai figli che ciò è un abbaglio li aiuta a crescere disincantati. La mamma che si preoccupa per la possibile o presunta dipendenza desidera un suggerimento da applicare al caso concreto. Se ci accorgiamo del pericolo incombente, possiamo partire dicendo che la “confessione” di nostro figlio è un aspetto positivo, il ragazzo mostra fiducia nei genitori e non altera la verità. Dopo di ciò senza eliminare la paghetta, si deve far capire al ragazzo che l’esperienza del gioco è utile, se circostanziata e limitata, a comprenderne la pericolosità; possiamo considerarla come la prima sbornia, indispensabile per capire il malessere fisico che ne deriva. Molto concretamente, la mamma dovrebbe comportarsi come quando il bambino è piccolo e per far sì che non tocchi il fuoco lo lasci sperimentare che scotta, lasciamo quindi che sperperi il denaro ma dimostriamogli che nessun gioco regala soldi. Ricordo infine che l’adolescenza è un momento delicato della vita, è un ponte verso l’età adulta vista spesso come qualcosa che affascina ma al contempo intimorisce, da questo vissuto nasce l’esigenza di appartenere ad un gruppo. Il gruppo dei pari età è un luogo dove riparasi, dove l’agire insieme fa sentire mena pericolosa qualsiasi azione. Un ragazzo probabilmente gioca per seguire il gruppo e non sentirsi isolato: facciamo che si senta meno solo e prima di punirlo ricordiamogli con fatti concreti che ha una famiglia che non vuole impedirgli di crescere ma desidera evitargli una crescita difficile. Le parole che a volte udiamo “non ho tempo di seguirlo” sottolineano la velocità del nostro modo di vivere contemporaneo dove è difficile conciliare il duro compito dell’essere genitore con la necessità di dover lavorare, ma ricordiamo che il tempo della difficoltà è ora, in questo momento.
Maria Giovanna Farina