Ha ragione il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella quando dice: “Sacche di salari bassi
lacerano la coesione sociale”. Un rischio che non possiamo consentirci, mentre siamo di fronte a livelli di povertà assoluta, nel nostro Paese, ormai troppo alti. Il numero di occupati è cresciuto nel 2023 di 474 mila unità. Ma questo incremento non è bastato a far diminuire le diffuse condizioni di bisogno. Un’altra cattiva notizia, che arriva dopo l’aumento della povertà registrato nel 2022 ,e dopo il raddoppio diquei dati registrati nel 2012 e l’ulteriore incremento del 2020, ambedue mai recuperati.
Ma perché l’occupazione aumenta e la povertà non diminuisce? Sembra una contraddizione in termini e, invece, non lo è.
Non basta la crescita dell’occupazione a sradicare l’indigenza. Va visto che tipo di lavoro cresce, in quali segmenti di popolazione, con quali retribuzioni e in quali tipologie di famiglie.
Ebbene, l’occupazione è cresciuta tra i lavoratori dipendenti di 419 mila unità. Ma, nonostante questo, la povertà è aumentata significativamente proprio tra le famiglie con a capo lavoratori dipendenti, in particolare operai. Sono aumentate le famiglie operaie povere, passando dal 14,7% al 16,5% di incidenza di povertà assoluta. Inoltre, se guardiamo agli occupati in più del 2023, ci accorgiamo che la stragrande maggioranza erano ultracinquantenni, segmento meno a rischio di povertà assoluta dei giovani, che invece ancora non hanno raggiunto i tassi di occupazione precedenti alla crisi del 2008-2009.
Inoltre, da settembre 2021, l’aumento dei prezzi in media è stato elevato, del 16,4 per cento. E, tra le famiglie più disagiate, l’incremento è stato ancora più alto, del 19,4 per cento. E ciò è importante, perché la dinamica dei salari non solo non è agganciata a quella dei prezzi, ma è pressoché ferma da molti anni. E sono più di quattro milioni i lavoratori del settore privato che hanno una retribuzione inferiore a 12 mila euro lordi l’anno, o per basso salario orario o per scarso numero di ore lavorate. Sono questi gli elementi fondamentali che spiegano perché la situazione è così grave, nonostante la crescita dell’occupazione.
C’è un altro elemento che suscita preoccupazione e che dovrebbe parlare alla politica. I dati diffusi dall’Istat raccontano che bambine, bambini e adolescenti sono i più colpiti dalla povertà in Italia. Si tratta di lacerazioni profonde che pregiudicano il futuro delle nuove generazioni. 1milione e 295 mila minori in povertà assoluta è un dato molto elevato, con un’incidenza massima nel Mezzogiorno (15,9%). Così come un milione 145 mila giovani da 18 a 34 anni. Bisogna dare una svolta alle politiche di contrasto alla povertà, che sono state fortemente indebolite da questo governo, che ha ridotto in modo consistente la platea dei soggetti poveri supportati.
Ci vuole un’azione di sistema, eliminando la super segmentazione degli aventi diritto al sostegno, che esclude e non include. Agendo sull’elevamento del salario orario minimo e riducendo drasticamente i lavori di poche ore non garantiti. Agendo contro l’esclusione delle donne dal mondo del lavoro, anche, ma non solo, per i non adeguati investimenti, se non tagli, in infrastrutture sociali per bambini, anziani e disabili.
Lo sviluppo di occupazione femminile di qualità agisce come potente elemento di difesa. E il nostro Paese non se ne sta avvalendo.
La povertà può e deve essere combattuta, come chiede la società civile e in particolare l’Alleanza contro la povertà. Ma serve che le strategie di contrasto entrino tra le vere priorità del Paese.
La Repubblica, 18 ottobre 2024