Francesca Vitelli è consulente del lavoro, ma soprattutto un'imprenditrice “vulcanica”. Dalle sue esperienze lavorative è nata un'idea di straordinaria creatività, unica in Italia, come EnterprisinGirls, un'associazione culturale e un network per lavorare in squadra “facendo rete” al femminile.
Come ti è nata l'idea di fondare l'associazione EnterprisinGirls?
L'idea è nata da un libro, “Di lava e d'acciai. Storie di imprenditrici vulcaniche”. Per due anni ho incontrato più di cento donne dai venti ai novant'anni di tutti i settori merceologici della province di Napoli e Caserta.
Cosa ti interessava sapere da loro?
Come la crisi stesse impattando su due province contigue ma con dei modelli economici differenti. Ho una formazione economica, mi occupo di mercato del lavoro, ho lavorato con la Camera di Commercio, con le imprese, e l'attenzione verso l'economia di genere mi è stata tramandata da mia madre che era americana. Mi ha trasferito dei concetti con i quali faccio molta fatica a convivere perché non appartengono alla nostra cultura.
A cosa ti riferisci?
Fondamentalmente sono due. Ognuno sceglie di poter essere ciò che vuole perché solo nelle sue capacità riceve la potenzialità, quindi io ti ho dato intelligenza e istruzione, tu fanne l'uso che ritieni più opportuno. Questo principio non appartiene alla nostra società perché tu puoi darti da fare quanto vuoi, ma non vedi realizzati i tuo progetti.
E il secondo concetto?
Era quello che non ci fosse una differenza di genere, ma che ognuno valesse a seconda dei propri meriti. Quindi non esistono lavori da donna o da uomo. In casa eravamo due sorelle ed un fratello e non c'erano ruoli prestabiliti: tu cucini ed io no…
Quindi l'associazione è nata.
Sì, mettendo insieme tutto questo. Ho scritto diversi libri, ad esempio uno che si intitola “Una vita da precaria”, dove racconto la storia della mia generazione: ho 49 anni, l'ho scritto nel 2010, mi era stato detto di studiare e impegnarmi che avrei avuto la mia vita. Tutto ciò non è esistito creando una crisi di identità.
Allora nasce qui l'idea?
Sì, un gruppo di imprenditrici che avevo intervistato mi chiamò e mi disse che non voleva perdere la rete che si era creata. Grazie alla mia professionalità di consulente aziendale avevo conosciuto le loro imprese anche attraverso un’analisi SWOT sui punti di forza e di debolezza, così quando avevo proposto loro qualcosa era andato a buon fine. Far nascere una nuova associazione di donne? Rimasi perplessa per il numero già attivo di associazioni di donne, per cui mi presi del tempo per pensare a qualcosa di diverso.
Nasce quindi un modello innovativo?
Eh, sì. È venuto fuori con queste caratteristiche.
Ossia?
Un'associazione che facesse dialogare tutto il mondo del lavoro e non solo l'impresa, ma anche il terzo settore e le libere professioni. Doveva essere un modello per cui l'associazione accompagnasse le associate.
Interessante e come accade?
Mettiamo che Maria Giovanna una mattina mi chiama e mi chiede se c'è una persona per un determinato progetto, non ti rispondo di sì e ti invito a prenderti il numero sulla piattaforma nell'ara riservata alle associate del sito, ma ti accompagno a conoscerla e se non sei del mio territorio ci penserà l'ambasciatrice di quel territorio. Questo non per immischiarsi nel privato, ma per assicurasi che vada a buon fine con la possibilità di offrire altri servizi per quel tipo di progetto. Se vuoi fare una sfilata di moda ti troviamo tutto ciò che serve per realizzarla, dall'ufficio stampa alla fotografa etc. e ad un costo di mercato più basso.
Funziona?
Sì, ma con una fatica disumana! Purtroppo non c'è l'attitudine a lavorare in gruppo.
Forse si teme che un membro del gruppo possa raggiungere un successo?
Sì, è una competitività malata.
Secondo te è una caratteristica delle donne?
Secondo me è perché non ci è stato insegnato.
Ci hanno insegnato che l'altra donna è una nemica.
Sì, e poi un'altra cosa gravissima è la superficialità e l'improvvisazione che hanno preso il posto della professionalità e della serietà. Le persone pensano di essere tuttologhe. Sono aspetti che non si possono più sopportare.
Questi aspetti credo vadano al di là del genere.
Assolutamente d'accordo. Nelle donne diventa più preoccupante perché è come se fossero più permeabili all'idea “devo arrivare e devo farlo subito”. Per cui non è l'impegno la cosa più importante, ma è l'apparenza.
Quale messaggio vuoi lanciare, Francesca, alle donne che ci leggono?
Da sole magari si arriva da qualche parte, ma quello che si raggiunge è infinitamente meno di ciò che si ottiene insieme. Bisogna imparare a lavorare in squadra, bisogna fare rete e non parlare della rete: bisogna viverla. La rete ha bisogno di qualcuno che la alimenti.
Bisogna impegnarsi.
Certamente, bisogna studiare, impegnarsi perché non c'è altra via. Non si può leggere la paginetta su internet e andare ad un convegno.
All'estero è diverso?
Sì, ti conoscono e ti chiedono cosa possiamo fare insieme. In Italia inizia la radiografia: chi sei, da dove vieni, quali persone frequenti… dopo di che posso incominciare a pensare che se il tuo agire non offusca troppo il mio, forse possiamo collaborare.
Maria Giovanna Farina ©Riproduzione riservata