“Il woke distrugge i valori per cui è nato”

da | Ago 9, 2024 | Interviste/Video

Dopo l’intervento di Michael Walzer
“La società trasmette stereotipi maschili, bisogna smascherarli. Lo schwa? Una seria minaccia alle conquiste delle donne”
Linda Laura Sabbadini,
Statistica, già direttrice Istat e chair del forum G20 sulla parità di genere
interviene nel dibattito sul woke e le sfide del riformismo 

II dibattito sul woke innerva la cultura contemporanea, ed è diventato il perno dei grandi eventi, dalle Olimpiadi alle elezioni Usa, creando fronti contrapposti. Si tratta di qualcosa di inedito?

«Ciò che accade non mi meraviglia. C’è una polarizzazione. Da un lato c’è la resistenza ai cambiamenti in corso, dall’altro l’emergere di soggetti sociali che entrano in modo prorompente sulla scena e rivendicano diritti e riconoscimenti. Il tutto in una fase di crescita delle diseguaglianze e di incertezza sul futuro. Questo è terreno favorevole per lo scontro».

Che cosa ci ha insegnato la cultura woke? Semplificando, si può parlare di pro e contro?

«Il woke ha prestato attenzione alle ingiustizie sociali, connesse alle questioni di genere e di etnia, ha promosso il protagonismo e l’empowerment di chi subisce esclusione sociale. E questo è un positivo. Ma c’è un problema serio di metodi utilizzati, intolleranti, non democratici. Ciò che emerge è una sorta di estremismo woke e i metodi travolgono i valori di riscatto delle minoranze, impedendo di raggiungere gli obiettivi. Il problema del metodo diventa un problema di contenuto, inquina il contenuto».

C’è un paradosso interno che minagli obiettivi del movimento, come ha sostenuto sulle pagine di Repubblica, dando il via a questo dibattito, il filosofo statunitense Michael Walzer?

«Non si può migliorare la democrazia con il nuovo protagonismo di questi gruppi, se non si assume una pratica democratica. Anzi, si rischia di spazzarla via. Avremmo dovuto imparare anche dalla storia che l’intolleranza ideologica non è compatibile con la democrazia. A fallire non sono stati i valori, ma il rinchiuderli in un recinto ideologico che diventa un recinto di pensiero unico. Abbiamo bisogno di condivisione, riconoscimento reciproco, dialogo che hanno difficoltà a svilupparsi. A volte riemerge, soprattutto in America ma non solo, un atteggiamento dogmatico che un tempo si sarebbe detto terzomondista, permeato di odio nei confronti dell’Occidente. Una visione vetusta che non tiene conto del fatto che il quadro è cambiato. Nonostante le contraddizioni e le diseguaglianze che permangono, l’Occidente è la parte del mondo in cui si vive meglio, in cui si è più liberi. E questa condizione dobbiamo tenercela stretta, perché è stata strappata con le unghie e con i denti».

Non si deve dimenticare una storia di emancipazione che già c’è stata…

«Sì, è come se non facessimo più i conti con il grande patrimonio che abbiamo. La democrazia si regge sulla capacità di farla vivere sia nella pratica dei cittadini, sia in quella dei governi. I governanti devono garantire la fruizione di tutti i diritti e le libertà: di stampa, di opinioni, di manifestazione.
Ma la pratica dei movimenti deve fare lo stesso, altrimenti inquiniamo noi stessila democrazia conquistata. Vorrei fare due esempi: il caso di J.K. Rowlinge come viene attaccata dagli attivisti transgender, e la manifestazione del 25novembre scorso contro la violenza sulle donne, indetta da Non Una Di Meno, con il silenzio sulle donne israeliane stuprate e uccise il7ottobreda Hamas. Io rivendico la sorellanza pe ril riscatto di tutte le donne del mondo, non accetterò mai un diktat, donne palestinesi sì, donne israeliane no. Questo è un pericolo non solo per i movimenti, ma per le coscienze. E frutto dell’estremismo woke».

A proposito di pratiche, il nuovo linguaggio è un punto cardine del woke. Che progressi abbiamo fatto? Cosa resta da fare?

«Diritto alle parole significa anche comprenderne il valore. Penso alla questione femminile. Il mio empowerment di donna deriva dal riconoscere la differenza del mio essere donna come un fattore creativo e non come handicap. Celo ha insegnato il femminismo. E deriva dal riconoscere che esistono enormi stereotipi di genere e che la gabbia di questi stereotipi ci imprigiona. Ognuno di noi trasmette, spesso inconsapevolmente, questi stereotipi nelle narrazioni collettive e nel linguaggio. Dobbiamo prenderne coscienza e combatterli nei libri di testo per le scuole primarie, dove l’uomo è potere e scienza e la donna è casalinga e segretaria. Nei media, nella pubblicità sessista. Le donne hanno un problema di invisibilità e vengono spesso schiacciate su un ruolo di vittima. Dobbiamo agire per rompere questa inconsapevolezza. Se sono contraria alle forme neutre di linguaggio promosse dal woke, ad esempio la schwa, è per questo. La battaglia per i diritti delle persone lgbtq+ è la mia, e così quella per i diritti di tutte le minoranze. Ma non posso accettare per metà della popolazione di questo Paese, quella femminile, l’invisibilità nel linguaggio, nei media e nella società contro cui mi sono battuta per decenni. Né dalla destra più estrema con i nomi al maschile, né dal woke con lo schwa. Con ragionevolezza troviamo le strade che garantiscano diritti per tutti, senza cancellare l’identità femminile».

Parliamo di diritti. La sinistra progressista è spesso tacciata di occuparsene “a discapito” di una seria riflessione sul tema delle disparità economiche e del welfare. C’è qualcosa di vero?

«Sì , c’è qualcosa di vero. I progressisti hanno certamente commesso degli errori e li hanno pagati in termini di voti in vari Paesi. Ma non poco sta cambiando. Possono tornare a vincere se hanno un approccio globale che dia risposte al problema delle disuguaglianze sociali con un’idea di welfare innovativo, se invece di dividersi si uniscono, se sanno coniugare l’idea del progresso col rispetto delle persone, anche delle future generazioni. Difendere i diritti di tutti implica riconoscere le tante identità anche multiple di ciascuno di noi, senza frammentarsi all’ infinito, senza adottare l’approccio binario “bianco- oppressore”, “nero-oppresso”, visto che banalmente il bianco può essere povero e il nero straricco. Bisogna guardare avanti. Se pensiamo agli Stati Uniti, è quel che si sta vedendo nella campagna di Kamala Harris e Tim Walz, che mi pare abbiamo capito la lezione: il focus sui diritti individuali, che restano importanti, si allarga alle condizioni della classe media e povera e ai diritti sociali».

E cosa si risponde alla destra populista, per cui il woke è causa la decadenza morale dell’Occidente?

«L’estrema destra populista ne approfitta, cavalca ideologicamente il disagio dei settori più colpiti dalla crisi, con un’aggressività che non si sarebbe permessa in altri tempi, diciamo dal Dopoguerra. Pensiamo a ciò che sta accadendo con i riots nel Regno Unito. La decadenza morale è in realtà della destra, responsabile del crescere nelle società occidentali del razzismo, che è il cancro delle democrazie, e inquina le coscienze e le relazioni umane. Sapremo sconfiggerla”.

la Repubblica, 09/08/ 2024