In un’epoca in cui è difficile mantenere stabilmente un posto di lavoro, dove la precarietà si è insediata e insidiata nella vita di tante donne, con grande svantaggio per chi è madre, ci si trova a fare i conti con una pratica antica quale il ricatto sessuale. Secondo il rapporto ISTAT del 2016, circa un milione di donne ha subito nell’arco della loro vita ricatti sessuali sul lavoro o molestie per non perdere il posto, che per molte non è far carriera ma necessità di sopravvivere. Si sta avvicinando il 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulla donna, e ci troviamo inevitabilmente a fare il punto su questa piaga sociale apparentemente inarrestabile.
È importante focalizzare sull’aspetto ricattatorio della violenza perché se si abusa del proprio potere per ottenere un rapporto sessuale si commette uno stupro che è un atto di congiungimento carnale imposto con la violenza, ma la violenza si esercita anche con le parole sul corpo dell’altra. Se una donna è costretta a cedere ad un rapporto sessuale per non perdere il posto di lavoro subisce una terribile forma di brutalità. Se è l’unica fonte di reddito per mantenere i figli si puoi trovare nelle condizioni di dover cedere ed è su questa debolezza e fragilità che la violenza trova il suo terreno fertile per prosperare.
Allo stesso tempo chi per fare carriera, e quindi non per pura sopravvivenza, accetta consapevolmente il ricatto sessuale, dà spazio di esistenza alla violenza del potere. Accetta una sorta di “rito di iniziazione” alla prevaricazione, cede ad una pressione da sempre presente nelle relazioni maschio-femmina dove il sesso diventa un mezzo per esercitare il controllo sulla donna. Dopo il “rito”, superato il dolore, diventa, paradossalmente, una consuetudine dare il proprio corpo in cambio. In che senso diventa una consuetudine? Cos’è la consuetudine? Un comportamento non normato dalla legge, ma che si ripete con la convinzione che sia obbligatorio: se lo fanno in tanti, vuol dire che si può fare. Se il rito diventa una consuetudine si trasforma in modello e per le giovanissime si presenta come una chiave d’accesso alle loro aspirazioni. Ed ora possiamo comprendere come con estrema facilità certe adolescenti vendano la propria immagine con una webcam in cambio di status symbol. Per questa ragione abbattere la consuetudine del “rito” diventa una sfida culturale inalienabile.
Maria Giovanna Farina