Un recente femminicidio consente una riflessione critica sul Codice rosso, fatto passare come uno strumento per assicurare “giustizia più rapida per le donne”
Il Codice rosso alla prova del femminicidio di Adriana SignorelliMartedi, 10/09/2019 – La migliore replica, a chi ha sostenuto nel recente passato che con il Codice rosso si sarebbe modificata radicalmente la prospettiva di tutela per le vittime di violenza di genere, la troviamo proprio nella vicenda che ha visto come protagonista una delle ultime donne uccise di femminicidio. Adriana Signorelli aveva, difatti, attivato la prassi prevista dalla nuova normativa, a seguito di un’aggressione subita tra il 27 ed il 28 agosto scorso. La polizia giudiziaria ne aveva accolto la denuncia, consigliandole di cambiare abitazione per non incorrere in nuovi abusi da parte del marito. Non ha fatto, però, in tempo ad essere ascoltata dal magistrato nei canonici tre giorni previsti dal Codice rosso, perché nel frattempo è stata assassinata brutalmente. Ma, anche se avesse avuto modo di confrontarsi con il pubblico ministero di turno, non avrebbe avuto salva la vita. In primis perché gli uffici giudiziari di Milano, investiti ogni giorno da 30 denunce e segnalazioni all’incirca, parrebbe non riescano a gestirle per la carenza di personale. Ma soprattutto perché in queste condizioni i magistrati sono impediti a “estrapolare i casi più gravi”, come sostiene il procuratore di Milano Francesco Greco, anche perché tutti i casi per legge devono essere trattati “con urgenza”….. “e questo ci impedisce di concentrarci sui casi più gravi”.
Quest’ultima considerazione induce, però, a porsi la domanda su quale possa essere un criterio di valutazione congruo in tema di priorità da assegnare alle singole denunce, aventi ad oggetto episodi di violenza di genere. Proprio prendendo quale esempio il femminicidio di Adriana Signorelli, sarebbe da chiedersi se siano stati letti nella chiave giusta i precedenti comportamenti criminosi che il marito le aveva fatto subire, come il tentativo di sfigurarle il viso nonchè la circostanza che i maltrattamenti fossero iniziati nel 2012. Al proposito Paola Di Nicola, giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, sostiene “Per scoprire davvero gli autori dei femminicidi, ma anche di tutti i reati contro le donne, si devono leggere gli episodi in un'ottica complessiva e con una visione di genere, altrimenti il fenomeno criminale resterà impunito e diventerà tanto diffuso quanto inattaccabile. Come per la mafia, esistono, infatti, i reati-spia, cioè quelli che costituiscono un univoco indicatore di una violenza più pericolosa e più insidiosa, di una quasi certa escalation. Sono le lesioni, i maltrattamenti nelle famiglie e nei contesti lavorativi, le molestie, l'omesso versamento dell'assegno di mantenimento come ricatto economico e come assenza di riconoscimento della figura genitoriale dell'altro, gli insulti sessisti”.
Quanto sostenuto dalla dott.ssa De Nicola assume una valenza particolare se la si rapporta al dato più che rilevante per il quale il 70% delle donne vittime dei femminicidi aveva già denunciato il proprio aggressore. Sussisterebbe, quindi, un intoppo nell’andare ad evitare gli episodi più gravi di violenza di genere, ossia quelli aventi esiti letali. I comportamenti criminosi violenti verrebbero “valutati in modo isolato, parcellizzato. Come le estorsioni in un contesto mafioso anche i maltrattamenti vanno letti in maniera non episodica e parziale”(op. cit). Adriana Signorelli aveva già denunciato più volte il marito per maltrattamenti, anche prima di decidere di separarsi da lui. Lo scorso novembre l'assassino, Angelo Galluccio, aveva bruciato la porta della casa della donna e aveva tentato di sfregiarla con la candeggina e benzina. Cosicchè era stato denunciato in stato di libertà con le accuse di incendio doloso, danneggiamento, minaccia aggravata e maltrattamenti in famiglia. Era da alcuni mesi uscito dal carcere, dove aveva scontato una condanna sempre per maltrattamenti. Perchè per Amalia, come per le altre vittime di femminicidio, non si è riusciti con i fatti ad evitare una morte che era stata annunciata non a parole, ma con comportamenti chiaramente ed inequivocabilmente delittuosi?
Il procuratore di Milano, Francesco Greco, interpellato in merito all’uccisione di Adriana Signorelli ha precisato che “E' illusorio pensare che situazioni come queste si possano risolvere con il carcere perché il carcere non può durare tutta la vita. Bisognerebbe lavorare anche sulle donne e sul contesto familiare”. Alla luce delle sue affermazioni ed alla lettura della pregressa storia giudiziaria di Aurelio Galluccio resa nota dai mass-media, nonché ricordando le parole della dott.ssa De Nicola, sarebbe da chiedere al suindicato magistrato milanese se non riterrebbe opportuno “lavorare anche” sui magistrati per una maggiore e migliore predisposizione delle misure giudiziarie a tutela delle vittime di violenza di genere. La Convenzione di Istanbul, ratificata anche dall’Italia, non prevede anche la prevenzione e la protezione delle vittime di violenza di genere? “Quando nel novembre scorso Adriano Galluccio venne arrestato perché aveva tentato di dare fuoco alla porta dell’abitazione della moglie, scattò l’arresto, che durò però solo meno di due mesi. A febbraio fu scarcerato dal giudice con solo l’obbligo di firma e nemmeno il divieto di avvicinarsi alla donna. Obbligo di firma che in poco tempo scese da quattro a un solo giorno alla settimana. A giugno poi un altro intervento. La polizia lo segnala perché venga applicato il divieto di avvicinamento. La Corte d’appello, alla quale l’uomo si era rivolto per contestare l’obbligo di firma, respinge la richiesta della Procura. E si arriva così a fine alla tragedia di sabato notte (ndr 1 settembre 2019)” (fonte TPI NEWS).
Quando lo scorso 17 luglio in Senato è stato approvato il disegno di legge sul Codice Rosso questa normativa venne fatta passare come lo strumento per assicurare “giustizia più rapida per le donne”, come risulta dalle parole dei rappresentanti istituzionali che avevano sostenuto il correlato testo di legge. Finito il tempo della propaganda politica ed entrato in vigore lo scorso 8 agosto, possiamo dire che proprio il femminicidio di Adriana Signorelli renda evidente che il Codice rosso, da un punto di vista strutturale, non contrasti efficacemente la violenza contro le donne. Come hanno dimostrato la parole del dott. Greco, la parte più critica del Codice Rosso riguarda proprio l’obbligo per le Procure di ascoltare le donne entro i tre giorni, ma a causa della loro carenza di organico le vittime di violenza di genere sono sentite da carabinieri e polizia, come è successo ad Adriana. La gip Maria Vicidomini, nell’ordinanza di custodia in carcere per il suo femminicida, ha scritto che la donna «non si recò mai presso l’abitazione della figlia (Ndr come aveva promesso alle forze dell’ordine che avevano ricevuto la sua denuncia), continuando invece, come già aveva fatto tantissime volte in passato, ad intrattenere rapporti con il Galluccio, a recarsi a casa sua e ad accoglierlo nella propria abitazione, da ultima in data 31 agosto». La suddetta magistrata precisa anche che la «disponibilità estrema» di Adriana «ad aiutare» il marito «le è stata purtroppo fatale».
Queste ultime affermazioni, unitamente a quanto riportato dai media riguardanti la circostanza che Adriana non avesse mantenuto la promessa fatta alla polizia giudiziaria di allontanarsi dalla propria abitazione, potrebbero indurre a considerarla quasi artefice della sua drammatica fine. Quando, invece, è fondamentale mettere in campo interventi integrati e a più livelli, allontanando le donne dai violenti insieme ai figli minori, supportandole nei percorsi di autonomia economica. Altrimenti succederà nuovamente che ritirino le querele e le archiviazioni, a riprova di un sistema fallace, continueranno ad attestarsi su percentuali alte. Si è prodotto tanto clamore sulla novità introdotta dal Codice rosso, relativa all’ascolto della vittima di violenza da parte del magistrato entro tre giorni dalla comunicazione dell’avvenuta denuncia del maltrattante, ma proprio le parole di propaganda si scontrano contro la realtà dei fatti. Come dimostra inequivocabilmente la dichiarazione di Lella Palladino, presidente D.i.Re la rete dei centri antiviolenza, “La denuncia è solo il primo passo di un percorso che per le donne spesso si trasforma nell’ennesimo calvario: nelle aule dei Tribunali la loro parola non è creduta, la loro vita privata giudicata, la violenza subita non viene presa in considerazione quando si tratta dell’affido dei figli. Tutti questi problemi restano insoluti. Non si investe un euro per la formazione di forze dell’ordine e personale giudiziario (Ndr il Codice rosso è uno strumento normativo ad “invarianza finanziaria”, ossia a costo zero per le casse dello Stato) terribilmente necessaria perché la violenza contro le donne, di cui tutti parlano, è un fenomeno che in realtà pochi conoscono davvero”.
di Maddalena Robustelli