Non si vorrebbe parlare nei media, fra le persone, di genitori che uccidono i propri figli.
Però non possiamo non farlo, sarebbe come negarlo.
Paragonando i casi più recenti a quelli passati, per coglierne ogni volta modalità e motivazioni che possano differenziarli, concederci uno spiraglio di giustificazione, se fosse possibile.
Non neghiamo che l’elenco non è poi così corto ma non serve farlo. Poi dimentichiamo.
Fino a quando non succede di nuovo e a compiere questo orribile gesto è una madre.
La prima reazione è di incredulità rispetto a quella donna che, per “definizione” è colei che da la vita e non può, o non dovrebbe, toglierla. Un controsenso.
A lei, associata e delegata per cultura o religione, fin dalla nascita, all’accudimento, alla cura, non può, non è permesso, manifestare aggressività, odio, rancore, vendetta verso i propri o altrui figli.
Non potrà mai avere attenuanti.
Tutto vero, a parole. I fatti lo smentiscono.
E’ accaduto di nuovo, pochi giorni fa, a Catania dove una madre ha ucciso la piccola figlia.
Anche questa volta gli avvocati faranno il loro mestiere per dimostrare cause, concause, la temporanea-pregressa-improvvisa infermità mentale. Rifiutare la premeditazione, salvo scoprirla. Le indagini forse chiariranno le modalità e le circostanze in cui è avvenuto. Per trovare una spiegazione, fornire le prove a carico o le attenuanti, tutto verrà indagato, studiato. La giustizia, farà il suo corso.
Resta la madre assassina.
Restano i familiari.
Resta il futuro negato ad una bambina.
Accade anche, assai più spesso, che a togliere loro la vita siano padri assassini.
Che uccidono i figli per vendetta contro la donna che vuole lasciarlo.
Fa meno orrore un uomo? E’ meno colpevole? O forse la violenza, l’omicidio, la crudeltà sono da considerarsi caratteristiche maschili e pertanto riconoscibili-accettabili?
L’omicidio non ha differenze di genere.
Resta agli osservatori, che siamo noi, non lasciare andare distrattamente lo sguardo e l’attenzione subito dopo il clamore dell’episodio. Verso tutti gli altri bambini che non ci appartengono in linea diretta ma che sono di tutta la società.
L’elenco sarebbe lungo, fra quelli che muoiono di fame e sete, nei conflitti armati, nei genocidi etnici, che scompaiono, vittime di tratta e pedofilia, di crudeltà familiari sconosciute ma purtroppo esistenti.
Dunque per questa bambina, che si chiama-va Elena, entrata con poche immagini nelle nostre vite tramite la freddezza digitale non resta che lo sconcerto senza risposte accettabili.
Restano, agli atti, la storia di una madre assassina di sua figlia e di una bambina morta per sua mano.
Due destini che non avrebbero dovuto mai incrociarsi, nonostante le leggi di natura.