Simona Capodanno – Meritocrazia Italia Lombardia
Un esempio di resilienza e di combattività.
Il messaggio della domenica del Presidente di Meritocrazia Italia mi ha molto colpita e mi ha spinta a scrivere l’articolo che vi sottopongo oggi.
La mia riflessione è partita dal ricordo che mi ha ispirato il Presidente, una frase che mi ripeteva sempre mio nonno:
“Non arrenderti mai. Rischieresti di farlo un’ora prima del miracolo”.
Ed è proprio per celebrare questo concetto di resilienza e di combattiva caparbietà, che vorrei parlarvi di una donna poco conosciuta, ma la cui forza e la cui testardaggine nell’affrontare le tematiche che aveva a cuore sono un messaggio di estrema importanza per tutti e tutte noi.
Voglio raccontarvi la storia di Elizabeth Cochran, considerata la madre di tutte le giornaliste, prima giornalista investigativa della storia.
Elizabeth nasce a Pittsburgh, in Pennsylvania, nel 1864 e a soli 16 anni inizia a lavorare come giornalista, ma a differenza delle sue (pochissime) colleghe che scrivono di cucina e giardinaggio, lei è interessata alla condizione delle donne, al divorzio, all’aborto, al lavoro femminile, allo sfruttamento dei minori e alla difesa dei più deboli.
Con lo pseudonimo di Nellie Bly, che adotta per tutelarsi, Elizabeth diventa in breve una giornalista famosissima: si trasferisce nella Grande Mela e scrive sul New York World, il cui editore è Joseph Pulitzer, fondatore del Premio omonimo, la massima onorificenza statunitense per il giornalismo, i successi letterari e le composizioni musicali.
Pulitzer è il più grande, il più illuminato e anche il più potente fra tutti gli editori dell’epoca e questo permette a Elizabeth di realizzare grandi inchieste, con metodi rivoluzionari e mai sperimentati fino a quel momento.
“C’è solo un modo per arrivare alla verità, ed è quello di vivere io stessa la vicenda che voglio raccontare. Diventare un’operaia sfruttata, una prostituta, una povera ragazza madre o una malata di mente. Provare sulla mia pelle quello che passano le persone coinvolte, vivere la loro vita. Solo così puoi raccontare la loro storia”.
Elizabeth ha in mente un’inchiesta terribile, che potrebbe rivelare una realtà terrificante che si verifica proprio lì, nella grande New York. Ha dei sospetti, ma non ha le prove. Sulla Blackwell Island, oggi Roosevelt Island, che si trova sull’East River di New York, sorge il Women’s Lunatic Asylum, praticamente un manicomio femminile, tenuto in piedi grazie alle donazioni di ricchi mecenati, ma sul quale si vocifera ogni possibile nefandezza: pare che le donne siano trattate male, i soprusi siano all’ordine del giorno, ma ogni tentativo di scoprire di più viene soffocato nell’omertà e i pochi ispettori ammessi vedono solo quello che si vuol loro far vedere. Elizabeth non ha dubbi: l’unico modo per sapere veramente come stanno le cose lì dentro è entrarci da ammalata.
Così si esercita per giorni a fare la matta davanti allo specchio, poi quando si sente pronta si veste in abiti dimessi, niente documenti, solo pochi centesimi in tasca, e si presenta alla porta di una pensione per sole donne. Durante la notte inscena una crisi isterica, dice che non può dormire e disturba le altre clienti, tanto che alla fine la Direttrice della pensione chiama la polizia. Elizabeth viene portata al Commissariato e poi in un ospedale, dove viene visitata e nel giro di poche ore viene dichiarata malata di mente e trasferita al Women’s Lunatic Asylum. Ce l’ha fatta. Ma quello che l’aspetta è l’orrore puro. Tutto quello che vive nel manicomio è riportato in due articoli sensazionali che vengono pubblicati sul New York World e che diventano poi un libro, “Ten Days in a Madhouse”, (Dieci Giorni in Manicomio), un resoconto agghiacciante senza precedenti.
Quello che vede e dovrà lei stessa subire nei dieci giorni di permanenza è terrificante e sembra perfino impossibile che simili cose possano accadere a poche centinaia di metri da Manhattan, in una New York pulsante di vita. Elizabeth racconta attraverso un ritratto lucido e angosciante una situazione di violenza istituzionalizzata, di una crudeltà immotivata che lascia interdetti e senza parole. La giornata tipo delle pazienti è una tragedia senza speranza, sia per quelle rinchiuse per motivi psichiatrici, sia per quelle che si trovano lì pur essendo sane di mente, perché fatte rinchiudere dai mariti o dai parenti, lucide, senza alcuna malattia, ma destinate comunque a perdere il senno per il trattamento subito e per le medicine inutili e debilitanti. Le conseguenze nefaste della terapia attuata all’interno del manicomio di Blackwell portano Elizabeth ad una conclusone lapidaria: “E’ una trappola per topi umani. È molto facile entrare, ma una volta dentro è impossibile uscire”.
Le donne internate subiscono soprusi e violenze continue. Il cibo è rancido e immangiabile, sempre freddo e maleodorante. Le donne vengono svegliate alle 5 del mattino e obbligate a restare sedute su una panca in un enorme stanzone gelido per tutta la giornata, fin alle 8 di sera. Non possono muoversi, legate tra di loro, soffrono terribilmente il freddo e vengono scosse da terribili crampi. Se si lamentano, gli infermieri le picchiano selvaggiamente. Vengono lavate solamente una volta alla settimana, gettate in una vasca di acqua gelida nella quale le più deboli capita che muoiano. Vengono strigliate con una spazzola molto dura che rompe loro la pelle e l’acqua è la stessa per tutte, sane e malate. Elizabeth racconta le tristi vicende di diverse donne, come la povera Signora Schanz, tedesca, che non capisce l’inglese e viene considerata ritardata, derisa e picchiata, la povera Josephine Despreau, soffocata dagli infermieri per essersi dichiarata sana di mente, Sara Fishbaum, internata dal marito senza un motivo valido, se non disfarsene. Tragedie disumane, che la giornalista denuncia di fronte a tutto il mondo con coraggio e fermezza, riuscendo ad ottenere molto presto dei risultati straordinari.
“Sono felice di annunciare che, come risultato della mia permanenza all’interno dell’Asylum e conseguenti indagini, la Città di New York ha stanziato un fondo annuo di un milione di dollari per la cura delle malate di mente della struttura. Ho almeno la soddisfazione di sapere che le povere sfortunate che si trovano lì rinchiuse potranno essere curate come meritano, saranno trattate con rispetto e tenute in uno stato adeguato. Verranno controllate e seguite anche dall’esterno.”
Ma Elizabeth riesce a fare di più: in seguito alle sue indagini, viene addirittura modificata la legge che regolamenta l’internamento dei malati di mente nelle strutture ospedaliere, una legge medievale che permetteva, per esempio, ad un marito di far internare la moglie senza un effettivo controllo medico.
Lo stile investigativo di Elizabeth diventa il suo marchio di fabbrica: le sue doti mimetiche e da attrice consumata le consentono di trasformarsi di volta in volta in una single in cerca di marito per indagare sulle agenzie matrimoniali, in una prostituta per raccontare le condizioni di vita in una casa per “donne perdute”, in una ragazza madre per smascherare un racket di traffico di bambini. Diventa una ladra, per riuscire a passare una notte in prigione e raccontare le condizioni delle recluse, e poi un’operaia in una fabbrica di scatole di cartone, per descrivere le condizioni assurde in cui sono costrette a lavorare le ragazze.
Elizabeth Cochran è oramai famosa: il suo stile ispira moltissime altre sue colleghe, nasce un vero e proprio giornalismo al femminile, si chiamano le Stunt Girls, reporter d’assalto.
Sempre in cerca di novità, sempre con la voglia di superare sé stessa, Elizabeth non si accontenta, si getta in un’avventura senza precedenti, destinata a consegnarla alla storia non solamente del giornalismo, ma del coraggio e della intraprendenza più assoluti.
Ispirandosi all’impresa immaginaria di Phileas Fogg, il protagonista del libro di Jules Verne “Giro del Mondo in 80 Giorni”, Elizabeth si domanda: perché non provarci anche io?
Il giorno dopo si reca in un’agenzia di viaggi, naturalmente siamo alla fine dell’Ottocento quindi lei il giro del mondo deve farlo in nave o in treno, l’aereo ancora non esiste. Ma insieme all’impiegato dell’agenzia, seleziona una serie di time table, di possibili coincidenze di navi e treni e arriva a stabilire che non solo la sua idea è possibile, ma probabilmente dovrebbe riuscire addirittura a battere il record di Phileas Fogg.
Il 14 novembre del 1889 alle 9 e 40 del mattino Elizabeth parte da Hoboken sul Transatlantico Augusta Victoria per il suo viaggio di 40 mila chilometri.
Il suo giornale organizza ovviamente un battage pubblicitario di tutto rispetto: si invitano i lettori a seguire il viaggio e a scommettere sugli arrivi nelle tappe principali e viene addirittura organizzata una lotteria, il “Guessing Match”, chi indovinerà l’esatto momento dell’arrivo della ragazza al punto di parenza, specificando giorno, ora, minuti e secondi, vincerà a sua volta un magnifico viaggio.
Dopo aver toccato Regno Unito, Francia, dove peraltro incontra proprio Jules Verne e la moglie, Italia, Canale di Suez, Hong Kong, Cina, Giappone, Israele, Russia, tutte tappe documentate da telegrammi che vengono inviati al giornale, Elizabeth ritorna esattamente al punto di partenza: sono le 3 e 51 del 25 gennaio del 1890. Sono passati esattamente 72 giorni, 6 ore, 11 minuti e 14 secondi: ha battuto il record del mondo di quel momento e anche quello immaginario di Phileas Fogg.
Elizabeth Cochran diventa una vera star in tutto il mondo, la donna più famosa della terra la definiscono i giornali. Di lei vengono realizzate addirittura delle statuette e delle bambole, viene ideato un gioco dell’oca con le tappe dell’impresa straordinaria compiuta dalla ragazza più coraggiosa del mondo. Il suo nome viene dato ad una saponetta, a un treno e perfino a un cavallo da corsa.
Oramai è un simbolo, la donna che non si è fermata davanti a niente, c’è poco che possa fare di più coraggioso e quindi decide di passare ad altro: nel 1895 accetta di sposare il ricchissimo Robert Seaman, industriale dell’acciaio. Lei ha 31 anni, lui 73. Lascia il giornalismo e diventa Presidente di una delle industrie del marito, la Iron Clad Manufacturing Co. con la quale dà vita ad un importante brevetto, i contenitori in acciaio per il latte, che vengono venduti in tutto il paese.
Ma alla morte del marito decide di ritornare al suo primo, grande amore, il giornalismo. Diventa corrispondente di guerra sul fronte orientale durante il primo conflitto mondiale, raccontando di corpi spappolati, volti terrorizzati, occhi infossati che la seguono, mentre lei scivola nel fango delle trincee. Poi, nel dopoguerra, abbraccia la lotta delle suffragette. Nel 1922, a soli 57 anni, Elizabeth Cochran, alias Nellie Bly, muore di polmonite, lasciando una straordinaria eredità e un segno indelebile nel giornalismo: i suoi scritti sono tutt’ora un esempio di professionalità, correttezza e audacia.