È reato la violenza per educare i bambini, anche se è consuetudine del paese d’origine
Il monito arriva dalla sesta sezione penale della Suprema corte che, con la sentenza n. 48272 di oggi, ha confermato la condanna per maltrattamenti in famiglia nei confronti di un padre marocchino che si era difeso contro le accuse sostenendo che “la sua condotta aveva finalità correttive educative” in relazione anche alle consuetudini del suo paese.
In particolare, si legge in sentenza, “giova al riguardo considerare che per il primato che il nostro ordinamento attribuisce alla dignità della persona, anche del minore, ormai soggetto titolare di diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione (se non addirittura di disposizione) da parte degli adulti, le finalità di correzione-educazione del medesimo, che mirano in particolare a conseguire un risultato di armonico sviluppo -della personalità, rendendola sensibile ai valori di pace, tolleranza, uguaglianza e solidale convivenza, non possono essere perseguite utilizzando un mezzo violento, che tali fini contraddice”. Non solo. “Né diverso criterio interpretativo può evidentemente essere adottato in relazione alla particolare concezione socio-culturale di cui sia eventualmente portatore l’imputato, posto che in materia vengono in gioco valori fondamentali dell’ordinamento (consacrati nei principi di cui agli artt. 2, 3, 30 e 32 della Costituzione), che fan no parte del visibile e consolidato patrimonio etico-culturale -della nazione e del contesto sovranazionale in cui la stessa è inserita e, come tali, non sono suscettibili di deroghe di carattere soggettivo e non possono essere oggetto, da parte di chi vive e opera nel nostro territorio ed è quindi soggetto alla legge penale italiana, di valida eccezione di ignoranza scusabile”.