Crescere i figli oltre le sbarre. Tra poco sarà possibile

da | Giu 3, 2022 | Testimonianze e contributi

 

 

 

 

 

Primo sì della Camera alla proposta Siani, manca quello del Senato. I piccoli in carcere sono 20: “Apprendono il linguaggio dei reclusi”. Ci sono fondi per le strutture alternative. Le voci di chi conosce i penitenziari e la storia di 20 anni di tentativi falliti.

Non i giardinetti con le giostrine, le mamme, i passeggini, ma quei pochi metri all’aria aperta, tra la cella e il mondo esterno. Non le primissime gite scolastiche con compagni, maestre e genitori, le feste di compleanno, i giochi in compagnia, ma incontri brevi, sotto lo sguardo dei sorveglianti, e solo con i parenti. E poi porte pesanti, che si chiudono a chiave e lasciano fuori libertà e quotidianità, per la madre detenuta, che si trova in carcere per scontare una pena o in attesa di giudizio, ma anche per i suoi figli piccoli, se ha deciso di tenerli con sé durante la carcerazione. Quella di non separarsi dai figli mentre si sconta la pena è una scelta, dice la legge attuale. In realtà, nella maggior parte dei casi, è una necessità. Perché la donna non sa a chi lasciare il proprio bambino. E se non ha una casa non le vengono concessi gli arresti domiciliari speciali, che pure esistono.

Poco importa se siamo nelle sezioni nido di un carcere, dove le donne detenute possono tenere i loro figli fino a quando non compiono sei anni, o nei cosiddetti istituti a custodia attenuata per detenute madri (Icam). Nel secondo caso magari gli agenti non indossano le divise, c’è qualche gioco, qualche parete colorata e qualche servizio in più, ma il refrain è lo stesso: le sbarre, l’impossibilità di uscire e di scoprire il mondo. La solitudine, il silenzio. E un linguaggio diverso, fatto di parole che i coetanei, i bambini che vivono ‘fuori’, neanche conoscono. Come la parola ‘colloquio’, che sostituisce in carcere termine ‘incontro’. E poco importa se dall’altra parte c’è il papà. Nella percezione dei grandi e dei piccoli, in un ambiente fatto di porte blindate e di muri spessi che separano dalla città e dagli affetti, di colloquio, e non di incontro, si tratta.

“Ho sentito dire a un bambino ospite dell’Icam frasi come ‘mamma, andiamo all’aria’, invece di ‘mamma andiamo a giocare in cortile?’“, racconta ad HuffPost Monica Cristina Gallo, garante dei detenuti del Comune di Torino. Nel capoluogo piemontese, ad oggi, i bambini che vivono con le madri detenute sono due, entrambi molto piccoli. Sono diminuiti rispetto a qualche tempo fa, ma questa buona notizia ha un rovescio della medaglia: “Per i bambini significa meno socialità, soprattutto se le loro mamme non vanno d’accordo”. E allora succede che il bambino, dopo l’asilo, dopo il tempo con i volontari, si trova in una situazione innaturale. E lì resta, fino a quando non diventa più grande. O fino a quando la mamma non ha finito di scontare la pena. Parliamo al presente, perché a breve le cose potrebbero – finalmente – cambiare. Almeno per un buon numero di questi bambini. La Camera ha approvato una proposta di legge – a prima firma di Paolo Siani, deputato del Pd – che ha l’obiettivo di fare in modo che i bambini non si trovino a vivere in istituti di pena, con le mamme detenute.

“Una questione di civiltà”: cosa prevede la legge – Il sì di Montecitorio – 241 favorevoli e solo 7 contrari – è arrivato nella serata del 30 maggio. Quando la legge passerà anche al Senato, le donne che devono scontare una pena o sono state poste in custodia cautelare, e hanno bambini molto piccoli, dovranno essere accolte in case famiglia protette. Il magistrato potrà derogare solo in casi molto particolari. Solo se ci sono “esigenze cautelari di eccezionale rilevanza” si potrà ricorrere agli Icam. La regola vale anche per i padri, se la madre è deceduta o è assolutamente impossibilitata a dare assistenza ai figli. La Lega, nel corso della seduta ha rivendicato l’emendamento secondo cui, in ogni caso, è applicabile il “regime speciale” previsto dall’articolo 41-bis. Dopo il passaggio in Senato “le case protette saranno l’unica scelta per far scontare la pena a una donna in gravidanza o con un bambino fino a sei anni di età, salvo esigenze cautelari di eccezionale rilevanza – ha spiegato in dichiarazione di voto Paolo Siani -. Il Parlamento vuole lottare per tutte le persone innocenti, in primis i bambini. È una questione di civiltà”. Di “traguardo molto importante” ha parlato, poco prima del voto, anche Walter Verini, relatore del provvedimento.

“Spero in un processo rapido – ha aggiunto con HuffPost Monica Cristina Gallo – e che le case famiglia che si andranno a costituire ospitino anche altri nuclei, oltre alla ‘categoria’ di madri detenute con figli”. Le case famiglia protette sorgeranno grazie a una convenzione tra il ministero della Giustizia e gli enti locali. I Comuni saranno tenuti a crearle, perché sarà principalmente in questi luoghi che le donne con bimbi piccoli dovranno scontare la pena. La novità rispetto alla normativa precedente è che gli enti locali non dovranno investire fondi propri. Un milione e mezzo di euro è, infatti, già disponibile per il triennio in corso. Come ci spiega Paolo Siani, lo stanziamento era già stato fatto con la legge di bilancio del 2021. Perché la possibilità di istituire case famiglia protette già esisteva, ma non aveva quasi visto attuazioni. Altri fondi, ci spiega ancora il parlamentare, potranno essere attinti dalla cassa ammende.

I tentativi (falliti) del 2001 e 2011. Marietti (Antigone): “Questa volta ci sono i fondi per le case famiglia. Vedremo ancora bambini in carcere, ma speriamo siano molti di meno”. Una volta che sarà legge, il provvedimento proposto da Siani segnerà un passo in avanti per allontanare i bambini dalle carceri. C’erano già stati due tentativi negli ultimi vent’anni in questo senso. Ma avevano portato ben pochi frutti. “La vera novità di questa proposta di legge – spiega ad HuffPost Susanna Marietti dell’associazione Antigone – è che vengono destinati dei fondi per la nascita delle case famiglia protette”. Un tentativo di sottrarre i bimbi al carcere era già stato fatto nel 2001. E nel 2011 il legislatore aveva provato a correggere ancora il tiro. “Con la legge Finocchiaro del 2001 – ci spiega l’attivista di Antigone – era stata prevista una misura alternativa alla detenzione per le madri di bimbi piccoli detenute. Si dava al magistrato la possibilità di assegnare la detenzione domiciliare speciale. Poi, però, ci si era resi conto del fatto che molte volte la madre non aveva un domicilio, o che il domicilio non era idoneo. E allora, nel 2011, c’era stata l’istituzione delle case famiglia protette, oltre che degli Icam”.

Piccolo problema: queste nuove case famiglia avrebbero dovuto sorgere a costo zero per lo Stato. Il tutto, quindi, era nelle mani dei Comuni e il risultato è stato che in dieci anni ne erano nate solo due: una a Roma e una a Milano che, però, non ha tutti i requisiti del caso. Il provvedimento voluto da Siani, invece, fa il salto che serve: garantisce i fondi. E non è poco. Marietti, però, tiene a fare una precisazione: “Dire che non entreranno più, in termini assoluti, bambini in carcere è una falsità. Con questa legge si dà al magistrato uno strumento in più: la possibilità di assegnare una misura alternativa. La discrezionalità, quindi, resta. Continueremo a vedere,quindi, in alcuni casi, bambini in carcere. La speranza è vederne molti meno di oggi”.

La maggior parte in Lazio e Campania: quanti sono i bambini in carcere – In questo momento i bambini che si trovano in istituti di pena con le loro madri sono venti: la maggior parte tra l’Icam di Lauro, in provincia di Avellino, e la sezione nido del carcere femminile di Rebibbia, a Roma. Pochi altri sono a Torino e a Milano. Sono comunque tanti, ma c’è stato un tempo in cui erano ancora di più. Nel 2018, ad esempio, erano 62. Tutti piccolissimi, sei anni al massimo. Tutti costretti, a norma di legge a vivere la loro quotidianità in un penitenziario. Era una tragedia silenziosa, di cui non parlava nessuno. Quell’anno poi, un dramma ha fatto riaccendere all’improvviso i riflettori su questa situazione. Sul fatto che è in Italia è possibile che le donne in custodia cautelare, o condannate, vengano chiuse in carcere con i loro bambini.

Era metà settembre, il tempo in cui i bimbi tornano a scuola, e a Rebibbia una donna – reclusa per una faccenda di spaccio – aveva fatto precipitare volutamente dalle scale i suoi due figli molto piccoli. I bambini erano morti, da quella vicenda era nato un processo. Ma quella storia, così cruda, ha portato all’accelerazione di un percorso – quello per portare i piccoli fuori dal carcere – che potrebbe concludersi, positivamente, a breve.

Gli addetti ai lavori plaudono a questa nuova norma. Ma tengono a ricordare che non basta una legge a ribaltare la situazione: “Per me già dire detenute madri e minori in carcere è un ossimoro. Sapere che anche per loro è stata pensata un’alternativa, seppure solo il 5% dei detenuti italiani è di sesso femminile, è una notizia che fa tirare un sospiro di sollievo”, spiega in una nota Samuele Ciambriello, garante dei detenuti della Campania. Proprio perché nella sua regione in questo momento ci sono nove madri in un Icam con i loro bambini, conosce molto bene la situazione. E racconta una vicenda emblematica, che testimonia il fatto che se non si creano un tessuto sociale e una rete di servizi adeguati la casa famiglia, da sola, non è sufficiente: “A una detenuta dell’Istituto di custodia attenuata per detenute madri di Lauro e al suo bambino eravamo riusciti a trovare una sistemazione in una casa d’accoglienza, ma, dopo avermi ringraziato, mi ha comunicato che preferiva rimanere in Istituto, perché lì ha possibilità di lavorare e il figlio di frequentare l’asilo. Questa storia, a mio avviso, è emblematica, perché mi convince sempre più che, accanto alla civile abitazione, è fondamentale attuare servizi e garantire diritti”.

Come funziona nel resto dell’Europa – Secondo Space, l’ultimo rapporto sulle carceri del Consiglio d’Europa, a gennaio 2020, nei paesi membri c’erano in tutto 1.608 bambini che convivevano con la madre in un istituto penale. Nei diversi paesi europei, il limite massimo di età per la permanenza dei bambini in carcere è variabile tra le nazioni. Nel Regno Unito, circa il 60% delle donne detenute ha figli minori, di cui solo il 3% ha la possibilità di tenere presso di sé il figlio. Il bambino può vivere con la madre detenuta fino ai 18 mesi di vita, ad eccezione di specifiche circostanze in cui i due possono risiedere nelle ‘mother and baby units’. Il termine massimo di età è invece di 3 anni in Portogallo e in Spagna, mentre in Finlandia il bimbo può vivere in carcere con la madre fino ai 2 anni. In Francia non è previsto un limite di età per il bambino ma l’età media è inferiore a un anno di vita. Stesse condizioni in Lussemburgo, dove la richiesta di ammissione del bambino viene analizzata a seconda del caso.

fonte: huffingtonpost.it, 2 giugno 2022