I pareri dei teologi. Rischio di crisi tra i credenti e nel clero, di Marta Ajò – L'Avanti 1975
Il modo con cui i cattolici italiani hanno affrontato la prova del referendum del 12 maggio; le manifestazioni di dissenso ormai presenti in molti paesi; la caratterizzazione politica aperta e avanzata di larghi strati cattolici; il disagio nei confronti del celibato dei preti, sono tutti aspetti più o meno vistosi di una profonda incrinatura che passa ormai all'interno del mondo cattolico, di cui il Vaticano dovrebbe rappresentare l'immagine centrale.E' la stessa possibilità di sviluppo della presenza cattolica nel mondo che viene messa in discussione; da qui nasce l'esigenza per la Chiesa di porre riparo alle contraddizioni e alle profonde lacerazioni prodottesi nelle organizzazioni e nello stesso pensiero cattolico per ritrovare una propria e autonoma fisionomia; contemporaneamente emerge la necessità di prendere atto dei mutamenti sociali inserendosi in essi giacchè, come ha anche dichiarato, all'apertura della 32a Congregazione generale della Compagna di Gesù, lo stesso Generale dei gesuiti, padre Arrupe, “così rapidi ed importanti sono stati i cambiamenti che è necessario sottoporre la nostra situazione presente ad un esame profondo, obiettivo, aperto”.
In questo senso, nel documento che il Vaticano ha reso noto per precisare la propria posizione in merito alla questione dell'aborto, si riconoscono come cause della sua propagazione anche motivi di ordine sociale ed economico, ma si precisa che la loro soluzione “spetta alla legge” così come “il dovere di promuovere una riforma della società e delle condizioni di vita … affinché sia resa possibile ad ogni bambino che viene a questo mondo una accoglienza degna dell'Uomo … bisogna promuovere tutta una politica positiva, perché si abbia sempre un'alternativa concretamente possibile all'aborto”.
Si prende, in sostanza atto di quelli che costituiscono i nodi fondamentali del problema, e cioè l'avvento di una società e di condizioni di vita non più a misura di uomo, ma se ne addebita tutto il carico, con parole che suonano aspra critica e accusa di inefficienza, ai governi, mentre alla Chiesa si lasciano questioni di ordine squisitamente etico e morale.
E' questa una grossa contraddizione che difficilmente potrà essere accettata dagli stessi cattolici. Contrapporsi con un rigore moralistico anacronistico e soprattutto senza validi contenuti che spieghino fino in fondo le motivazioni su cui poggia questa posizione non giova certo alla Chiesa. Riproporre nella realtà sociale e all'interno stesso delle file cattoliche scontri del tipo di quello avvenuto il 12 maggio in Italia, non è indice di lungimiranza. Le leggi per l'aborto, come quelle per il divorzio, per esempio, non ne impongono la pratica, ma la permettono, lasciando quindi libera la donna di acconsentirvi o no, senza pregiudizio per le proprie convinzioni dottrinali. Altrettanto inutile è ripetere, come facemmo in occasione del referendum, che i cattolici non possono imporre ad altri un comandamento morale che tale rimano solo per essi.
Clandestinità
Come esistevano separazione e matrimoni di fato, così può dirsi per l'aborto, che esiste comunque e viene praticato in modo clandestino e in condizioni igieniche anche mortali; come non il divorzio crea divorzio o la rovina di famiglie, cos non l'aborto frena le nascite, ma piuttosto le preoccupazioni e difficoltà esistenti per il futuro dei figli e personale.
Così come noi motivammo il nostro giudizio favorevole al divorzio, Simone Veil, in Francia, in riferimento alla legge da essa presentata (e recentemente approvata dal Parlamento francese) sull'aborto ha dichiarato che “la legge tende a porre fine a un disordine giuridico, ad una ineguaglianza di fronte alla legge che di fatto esiste. Nessuno vede nell'aborto un mezzo accettabile, umano per regolare le nascite, ma solo un rimedio estremo a situazioni che non presentano via d'uscita. IL fatto che nei paesi dove non esiste una legislazione in materia, milioni di donne vi ricorrano rischiando la vita con sistemi per lo più arcaici, dimostra che il problema esiste, esiste in proporzioni allarmanti, va discusso e affrontato”.
Ricorrono quindi parallelamente, temi che il mondo cattolico ha già affrontato in Italia il 12 maggio 1974. Non stupisce neanche che, già in una tavola rotonda all'Unione Stampa Cattolica del Lazio del 13.06.1973 si affermasse, sul tema “l'aborto come problema etico”, che “propagandando una certa situazione, si finisce per creare nell'opinione pubblica quella situazione”, o ancora “l'aborto clandestino, in quanto tale, non è quantificabile. In quanto clandestino, i fenomeno non esiste” affermazioni riprese anche per motivare l'opposizione cattolica ad una campagna in favore del divorzio.
La politica del non sento, non vedo ma parlo, non è attuabile oggi.
Linea rigida
Gli uomini hanno dimostrato in molte occasioni, e più recentemente, di aver maturato scelte di coscienza, libertà e civiltà. Con quali argomentazioni il Vaticano intende oggi indicare una linea così rigida da seguire per quanto riguarda l'aborto? Esso ha dichiarato nel proprio documento in merito che “un cristiano non può né partecipare ad una campagna di opinione in favore di una legge siffatta né dare ad essa il suffragio del suo voto”, riaffermando una precettistica del cattolico nel campo sociale e civile, in contrasto con una visione realmente pluralista della società.
Si afferma anche il dovere della Chiesa a “difendere l'uomo”. Giusto è allora pensare che non debbano esistere privilegi per classi e reati solo per i più poveri, come oggi avviene per chi abortisce; e che la “vita umana deve essere protetta e favorita sin dal suo inizio”, con una sottolineatura che presa di per sé è di una grande ovvietà, o che sottintende implicazioni così vaste da richiedere una trasformazione rivoluzionaria di tutto l'assetto sociale ed economico.
Non si può proporre un'indicazione rigida e priva di aperture, su questo problema, invece di ricercare un approfondito esame delle ragioni sociali ed anche morali che lo contraddistinguono.
A loro volta le forze laiche e democratiche dovranno essere capaci di rispondere anche su questo terreno, riaffermando ancora una volta il dialogo costruttivo con quelle masse cattoliche che si sono battute per il diritto alla libertà e alla civiltà, rifiutando a loro volta una sorta di “trionfalismo abortista” che talora emerge in qualche gruppo e che fraintende la drammaticità del problema.
Il fatto che la Chiesa non abbia compiuto passi avanti in questa direzione, più che dimostrare una ferrea coerenza, dimostra al contrario l'incapacità di dare quella risposta che anche in tempi lontani andata ricercata. In questo senso è interessante ritrovare anche in alcuni momenti della riflessione teologica e canonista alcuni contributi che esprimono significativamente orientamenti diversi rispetto alla dottrina così dominante.
Non per il gusto di riesumare “incunaboli” ma per favorire il riemergere di posizioni volutamente “dimenticate” vogliamo ricordare Antonino da Firenze (XV sec.) che introdusse nel nucleo centrale della teologia morale l'opinione di Giovanni di Napoli, teologo del XIII sec., che si basava sulla distinzione tra feto animato e inanimato, appellandosi ai doveri del medico; così come il canonista del XVI sec. Azplineta, consigliere della Sacra Penitenzeria, sotto Gregorio XIII che osservava che era norma di questa considerare animato il feto maggiore di 40 giorni, quindi accettando l'aborto ai fini terapeutici per un feto inferiore a quell'età e, ancora, la posizione del gesuita Sanchez (1550-1610), specialista in questioni matrimoniali, che affermava che il divieto di aborto aveva delle eccezioni, particolare per il caso di violenza carnale.
La spiegazione dell'evoluzione dell'uomo, da parte di Thellard de Chardin, che sostiene uno sviluppo graduale del cervello fino al raggiungimento di un livello di complessità tale da far nascere la coscienza, e quindi la specie umana, per cui anche il feto cresce attraverso una continua serie di stadi di sviluppo, è simile all'ipotesi formulata da S. Tommaso d'Aquino, il quale suggeriva che il feto acquisisce l'anima passando stati diversi, da quello vegetativo, animale, fino a quello dell'anima umana. Queste posizioni non hanno mutato sostanzialmente il verbo vaticano in materia d'aborto.
Nel concilio del 1563, fu stabilito che “le persone sposate che per mezzo della medicina impediscono il concepimento o procurano aborto, sono colpevoli di un delitto nefandissimo, perché questa deve essere considerata un'empia cospirazione di assassini”. Sisto V prese la decisione di punire l'aborto tutti i casi con uguale severità, rientrando così in una fase di grande irrigidimento contro ogni autonomia sessuale.
Ancora nel 1869 Pio IX nella costituzione Apostolicae Sedis, includeva nella scomunica l'aborto di qualsiasi embrione.
Per arrivare a tempi ancora più recenti, all'enciclica Casti Connubi, del 1930, in cui Pio IX espresse una dura condanna dell'aborto parlando di “gravissimo crimine” negando l'esistenza di “una legge di estrema necessità tale da condurre alla diretta soppressione dell'innocente”, dimostrando una notevole preoccupazione per l'azione delle attività pubbliche.
“Dio è il giudice e il vendicatore del sangue innocente che grida al cielo dalla terra” egli dichiarava con accenti del cristianesimo più primitivo, e, quindi la vita dell'embrione è sacra senza eccezioni. Una denuncia rigorosa e totale dell'aborto, espressa dall'autorità papale che doveva suonare per i cattolici monito e forza di controllo.
Anche Pio XII, nell'allocuzione rivolta alle ostetriche italiane, il 29.10.1951, ribadiva una posizione di condanna all'aborto insegnando che “il bambino nel seno materno ha il diritto alla vita immediatamente da Dio, non dai genitori, né da qualsiasi società o autorità umana, nessuna scienza, nessuna “indicazione” medica, igienica, sociale economica, morale, che possa esibire o dare un valido titolo giuridico per una diretta deliberata disposizione sopra una vita umana innocente …”. Arrivando ai tempi più recenti, in cui i mutamenti sociali hanno caratterizzato la società mondiale con profondi cambiamenti culturali psicologici dell'uomo verso la religione, con il Concilio Vaticano II, la Chiesa pare aprirsi ad una maggiore tolleranza nei confronti dei problemi sessuali, specie per quanto riguarda i comportamenti nel matrimonio.
La Chiesa incerta
Pure Paolo VI, nella Humanae Vitae, afferma che “è da escludere come via lecita per la regolazione delle nascite l'interruzione diretta del processo generativo già iniziato e soprattutto l'aborto direttamente voluto e procurato, anche se per ragioni terapeutiche” e a proposito degli antifecondativi egli ritiene che porteranno l'”uomo a perdere il rispetto della donna e, senza più curarsi del suo equilibrio fisico e psichico, a considerarla come semplice strumento di godimento egoistico”.
Con il documento vaticano, dunque, la Chiesa ancora incerta ad ammettere se l'anima nasca al momento della fecondazione o con lo sviluppo dell'embrione, ha confermato che l'aborto, in qualunque momento venga procurato è una colpa uguale all'omicidio. L'impressione che si trae da questo annoso travaglio è comunque di una insormontabile difficoltà da parte della Chiesa ad una riflessione approfondita sui problemi della famiglia, della condizione umana, dei rapporti tra uomo e donna.
Il passato, con la rigidità che lo ha contraddistinto, pesa ancora sulla Chiesa cattolica: anche oggi si stenta a fare i conti con la complessità insieme sociale e psicologica dei rapporti sessuali, ma al contrario si esprime una concezione fortemente impregna di quella sessuofobia che ha tradizionalmente caratterizzato l'atteggiamento della Chiesa su questo tema che pure costituisce uno dei nodi fondamentali della vita umana.
Concezione più libera
Il carattere di obbligatorietà, che nella Chiesa viene associato al celibato, al divorzio, alla contraccezione, all'aborto, come pure a tutti gli altri problemi inerenti al sesso, costituiscono oggi un groviglio quasi inestricabile di strozzature e di chiusure che esprimono una lacerazione drammatica e quasi irrisolvibile rispetto alla coscienza contemporanea.
Le chiusure del Vaticano nella misura in cui contraddicono non solo e non tanto un certo ipersessualismo indotto dalla società neocapitalista, ma una concezione più libera, aperta e priva di tradizionali inibizioni dei rapporti sessuali e famigliari che caratterizza specialmente i giovani, rischiano oggi non solo di diventare momento di sgomento e spesso di rottura tra le fila dei credenti, ma di aprire lacerazioni profonde nelle stesse file del clero più avanzato e più legato alla realtà del mondo in cui svolge la sua azione pastorale.
L'Avanti 1975