di Milena Mariano – Minerva n. 285 – ottobre 2009
Sulle note fruscianti di una ca nzone di Edith Piaf, che sem bra uscire dalla puntina di un grammofono, si apre il sipario velluto rosso carminio. Spuntano gam be rornite, poi un volto di porcellana, un corpo morbido fascia to in un tutù di tulle che si muove si nuosamente. Eleganti fanciulle di bassa statura che sfilano in tubini neri aderentissimi, velette appoggiate su nasi importanti e guepière indossate da disinvolte donne burrose.
Le donne che si riprendono la loro fem minilità, le donne che non si affamano per eliminare quel rotolino appe na sotto l'ombelico, le donne che si danno un nome d'arte goloso, deci dono di tenersi una seconda misura di reggiseno e mettono su uno spettacolo raffinato, ispirandosi a intramontabili dive vintage.
È il new-bur lesque, pronipote di quel burlesque nato nell'Inghilterra dei tempi del vittorianesimo come spettacolo “povero” di spogliarello e comicità allusiva, noto come “The poor man's follies”. Riscoperto negli anni '90 da artiste statunitensi del calibro di Di ta Von Teese, imitato persino dalla fashion vicrim Madonna, il genere è appro dato i n Australia e in Europa, giungendo solo pochi anni fa in Italia e riscuotendo da subito il successo di un pubblico animato da sano anticonformismo.
Una gran parte di spettatori è composta da donne che, oltre ad assistere alle performance, esprimono la loro natura burlesque adornandosi i capelli con fiori di stoffa, con il ciuffo bianco, incipriandosi e dipingendosi nei sul viso e creando così una tendenza che va oltre il palcoscenico”, spiega Alessandro Casella, direttore artistico del Micca Club di Roma -locale noto per aver contribuito a diffondere la burlesque-mania nel Bel Paese- nonché dell'Accademia del burlesque in Italia, nata per dare un contributo made in ltaly al fenomeno. “Tutte le ragazze ospitate al Micca Club per le serate a tema, provenivano da Parigi, Londra, Sta ti Uniti; comunque dall'estero. Ho pensato che sarebbe stato bello avere delle ragazze che nellook, nel concept, nelle performance, nella musica, esprimessero qualcosa di tipicamente italiano”.
Un sogno che, grazie anche all'esperienza e all'ironia di Made moiselle Agathe, si è potuto realizzare.
“Nei casting dell'Accademia non ci sono canoni estetici da rispettare”, aggiunge Casella, “non selezioniamo le donne in base alle misure, alla bellezza. Anzi, paradossalmente scartiamo le ragazze che imitano lo streap-tease moderno, perché può apparire troppo volgare e non fruibile per tutti, a prescindere dai sessi. La magia di questo spettacolo sta nel puro e semplice spettacolo”.
Ma cosa provano le donne che si esibiscono nello stile burlesque? “La scelta del look giusto, della calza adatta, del colore dello smalto per le unghie, delle movenze, e qui vale alla creazione di un personaggio”, afferma Casella, “per cui rappresenta una sorta di ricerca interiore per capire quello che davvero alla donna piace e che la fa esprimere come personaggio. Ogni donna può essere ciò che vuole, con stile anni '20 piuttosto che ses santa, glamour o aggressiva… Tutto questo arricchisce la personalità
delle ragazze: è un vero percorso artistico.
Si sentono molto più sicure, più a loro agio. Per alcune di loro è un'esperienza addirittura terapeutica”.
“Ad esempio”, racconta Alessandro Casella a proposito degli esordi di una giovane stellina del burlesque italiano, “durante i casting si è presentata una ragazza vestita co me una qualunque liceale, ma con forme abbondanti, come andavano di moda negli anni '40.
Appreso che la fanciulla aveva su perato abbondantemente la maggiore età, abbiamo iniziato il casting e, indossati gli abiti di scena, trucco e parrucco, la timida studentessa è diventata l'affascinante Cherry Bloom, con un repertorio provato chissà quante volte in casa, davanti a uno specchio, e già perfetto”.