Annelie Botes, una scrittrice politicamente corretta o scorretta?

da | Feb 17, 2011 | Editoriali

Annelie Botes 53 anni, descritta come una signora “paffuta, il volto occhialuto e pacioso di un’ ex insegnante di musica che suonava l’organo in chiesa”, e come sensibile ed impegnata, è la scrittrice afrikaaner più popolare del Sudafrica. Una voce di nicchia, dato che l’afrikaans è la lingua dei Boeri, i bianchi di origine olandese che sono stati il perno dell’apartheid e che ora si sentono a loro volta discriminati.
Annelie Botes, pur non essendo tra i nostalgici del segregazionismo, ha fatto scalpore dichiarando pubblicamente ” Non mi piacciono i negri, non li capisco, mi fanno paura” anche se ammette «le mostruosità indicibili» commesse contro i neri nel passato regime e di non aver difficoltà «a condividere il tavolo o il bagno con un nero».
La sua dichiarazione, che non ha smentito, anzi ribadito e sostenuto, ha sollevato non poche polemiche che l’accusano esplicitamente di “plateale razzismo”.
La scrittrice, dopo il polverone, si è rifiutata di fare marcia indietro, perché ha ammesso e anzi ribadito: «È la verità. Sarò stata impulsiva, forse è ingiusto mettere tutti i neri sotto lo stesso ombrello. Naturalmente, ci sono molti neri che mi piacciono. Ma volevo dire quello che ho detto. Uno scrittore non è tenuto a essere politicamente corretto».

La Botes, che ha appena vinto il massimo premio nazionale con il romanzo “Thula Thula”, -storia di incesti e violenze sulle donne che ha venduto 34 mila copie-che ne ha scritto un altro che ruota intorno all’autismo, ammette «le mostruosità indicibili» commesse contro i neri nel passato regime, e ribadisce che un giardiniere nero non lo assumerebbe mai. «Per paura»; e a chi le chiede quali sono le persone che non le piacciono, lei dice: «I neri» per la loro alta criminalità. A chi, infine. le ha suggerito di aggirare gli stereotipi razziali ha risposto che «Come scrittrice racconto quello che vedo, quello che vivo. Non è mio compito essere politicamente corretta».

Il razzismo, diretto od indiretto, purtroppo è stato ed è uno dei fenomeni peggiori del nostro ultimo secolo. Negri, ebrei, zingari, gay, ne hanno fatto le spese sulla propria pelle; il razzismo si è espanso anche contro minoranze etniche, religiose, politiche, immigrati fino ai malati di mente ed ai portatori di handicap ecc.
Il razzismo è stato ed è contemporaneamente fenomeno di massa, di controllo sociale ed economico nelle politiche di molti governi.
Che il razzismo sia la sopraffazione di alcuni contro altri è prova provata: come faceva dire Shakespeare al ricco mercante ebreo di Venezia, Shylock, disprezzato dai cristiani, contro il suo acerrimo nemico Antonio:
“Mi ha maltrattato, ha gioito delle mie perdite, disprezzato i miei guadagni, raffreddato i miei amici, riscaldato i miei nemici, insozzato il mio abito, disprezzato il mio popolo e per quale motivo? Perché sono ebreo! Forse che un ebreo non mangia come gli altri esseri umani? Se lo pungete non prova dolore? Non si ammala delle stesse malattie dei gentili? E non si cura con le stesse medicine? ».
Ancora oggi il razzismo sposta l’attenzione verso altre categorie e popolazioni: romeni, arabi, ecc…
Gli scrittori non hanno doti divine che li rendano immuni dal provare sentimenti buoni o cattivi; essi hanno, come tutti e come loro diritto, proprie opinioni politiche anche quando non platealmente dichiarate a ragione o per opportunismo; ma, rendendosi pubblici dovrebbero porre una maggiore attenzione alle parole scritte o dette.
Questi uomini e donne, che dello scrivere hanno fatto la loro ragione di vita, dovrebbero quantomeno essere più attenti alle loro manifestazioni di pensiero salvo accettare che la discriminazione o l’apartheid possa girarsi contro, come nel caso della Botes, che si è vista togliere alcune collaborazioni giornalistiche e un distacco del proprio editore.
E questo, si, appare, in fondo, politicamente corretto.

ViaDelleBelleDonne