L’ascolto è fondato sulla capacità di ricevere, recepire profondamente e anche osservare le parole degli altri, “costruite” da “significanti”, ovvero suoni e un senso assegnato a loro, altrimenti dette immagini acustiche, associate ad un senso o significato che il soggetto di linguaggio emette in un contesto, in un discorso tra soggetti, sia familiare con il legami generativi, sia con i suoi contatti amicali o di studio, o di lavoro. Ogni contesto è portatore di significanti con un senso che si crea nel contesto stesso, diversi a seconda del contesto, che prendono corpo con l’Altro.
Ieri ho svolto una seduta di psicoterapia con Alessandra, di 16 anni, studiosa e caparbia, alta e dallo sguardo fiero, alle prese con le sue difficoltà relazionali come la timidezza, la mancanza di fiducia, ovvero un po’ di diffidenza nei confronti degli altri, di “chiusura” psicologica, inibizione emotiva, senso di inadeguatezza e timore del giudizio altrui. Si sa, a quell’età, la relazione con gli altri, sia maschi che femmine, è conflittuale perché sovente si cerca di essere accettate e riconosciute bene da tutti, in modo idealizzato, che tutti abbiano di noi un giudizio gradevole, piacevole, “bello”. Ecco , tutti dovrebbero “pensar bene” di noi, altrimenti si ha la paura, che a volte si trasforma in angoscia, del pensiero altrui.
Alessandra ha questo disagio nel vivere con gli altri, ovvero nel relazionarsi con loro. Un suo pensiero traumatizzante, che mi confida, è che le ragazze pensano di lei che è bella e molto corteggiata, ma la invidiano. L’invidia è generata da una malsana aggressività, da una pulsione di morte legata ad un soggetto che non si lega veramente alla pulsione di vita, perché irraggiungibile, probabilmente perché legato ad una identità scartata, un Sè distrutto, che non riesce a specchiarsi e riconoscersi con l’immagine intravista come perfetta o da imitare, ma con dolore e frustrazione, dell’Altro.
Lei di sé ritiene di non essere particolarmente attraente, e fino a qualche tempo fa era molto in sintonia con il genere maschile, i suoi amici le erano più simpatici, ma Alessandra era pulita e schietta, tenace e razionale un po’ come i ragazzi. Per descrivere un po’ di più Alessandra, si può dire che è una brava pallavolista, brava a scuola, snella e slanciata, con un sorriso a tratti sereno e timido, ma fa di tutto per non evitare la comunicazione con il suo sguardo, con i suoi occhi che sembrano chiedere e pretendere sincerità. Ha un rapporto esclusivo con il padre, tuttavia molto affettuoso e leggermente conflittuale ma di confronto costante e aperto con la madre e le sorelle più piccole di 2 e 3 anni.
Mentre parla, noto la produzione di un discorso logico, razionale, adeguato alla questione, seguiva i miei spunti di riflessione rispetto allo “stare con gli altri”. Inoltre noto che Alessandra, con un eloquio abbastanza chiaro e evidente, fa fatica a parlare di sé in certi momenti, infatti crea frasi semplici ma faticosamente espresse per spiegare come si è sentita giudicata dalle sue compagne di scuola, come si sente giudicata dalla gente.
E poi c’è la sua famiglia che la accudisce, vive in un buon contesto familiare accogliente, che apparentemente non le fa mancare nulla, ma che non le permette probabilmente di avere uno spazio per uno slancio, ovvero un desiderio deciso verso un approccio verso l’esterno. Insomma la sua è una famiglia “fagocitante” psicologicamente, sembra saturare il suo percorso di crescita verso gli altri, anche se è molto amorevole.
Così mi metto a ricordare i libri che ho letto del mio maestro di psicoanalisi e supervisore Angelo Villa. Il primo ha un titolo accattivante e simpatico: “Pink Freud. Psicoanalisi della canzone d’autore da Bob Dylan a Van De Sfroos”, il più recente, è più incisivo e volto a dare un rango terapeutico alla musica :“ Note nella cura. Musica, psicoanalisi, musicoterapia” scritto con un collega, Adriano Primadei.
Dopo aver ripreso in mano, almeno mentalmente, i testi da me amati perché originali e con più sfaccettature di interpretazione, propongo alla mia paziente di vivere “metaforicamente” un futuro incontro con un ragazzo come quando si ascolta o si suona insieme a qualcuno un pezzo musicale, condividendo ricordi, parole, aggettivi, nomi tratti dal proprio lessico familiare, un’associazione di parole e idee ed emozioni abbinate ad un ritornello famoso per entrambi, ricordato dall’infanzia, un accordo di note che fa disinibire ed emozionare insieme, frasi o concetti che permettono una riflessione condivisa.
Queste attività di ascolto, di ricordo e di emozionarsi insieme si fanno dimenticando tutto il resto, coinvolti in un’atmosfera ludica e musicale, senza pretese di conoscersi subito, in una volta sola, ma tuttavia vera, autentica, da vivere diversamente, intensamente, con passione, dimenticando il giudizio altrui, lasciando nell’indifferenza le possibili parole fredde e anaffettive di pensieri negativi di sé e di chi sta accanto. In questo incontro deve esserci un sentire utile per entrambi e un condividere con la musica parti di sé dell’altro e con l’altro, sovrapponendo momenti “caldi” di vita vissuta che esprimono slanci verso l’Altro.
Con un incontro così, si mette da parte il passato, ci si da la possibilità di ricominciare dalle emozioni più genuine e vere, sincere. Senza stereotipi o pregiudizi su di sé o gli altri, senza valutare o giudicare chi sei, ma vivendo puramente il momento musicale condiviso con chi si è scelto, come un tempo di creatività emotiva ma anche sentimentale, avvolgente, coinvolgente, piena di cose reciproche che potranno costruire un legame, qualsiasi essoo sia, ebbre di emozioni piccole e grandi. Come in un’opera d’arte musicale, ma esperienziale, come se quella volta fosse unica, irripetibile.
Dopo che ho proposto questo spunto di riflessione, ipotizzando una costruzione di vita psicologica diversa, nuova, Alessandra mi ringrazia chiedendomi un ulteriore approfondimento e, dopo poco, lascia la mia stanza di psicoanalisi serena e sorridente, carica di vita.
Dr.ssa Paola La Grotteria, psicoterapeuta