La festa del 1°maggio, festa dei lavoratori, che cosa rappresenta per le donne? Le ragazze vorrebbero un lavoro che le rendesse autonome dalla famiglia di origine, per le altre, oltre ad aiutare l’economia familiare, è la possibilità di entrare a pieno diritto e con un ruolo di efficienza nello Stato. Tuttavia, è anche la festa di tutti coloro che lavorano e che credono di essere parte attiva nella società, nello svolgimento di ciò che li realizza di più. Un lavoro di solito scelto per le proprie inclinazioni, per le caratteristiche di garanzia di sostentamento, per il potere sotteso che ne deriva. Un potere di acquisto e di autorità in una classe sociale.
Ma quindi si riassume con il motivo, la causa agente di acquisire credito e riconoscimento dagli altri, quello di avere un lavoro importante e di successo?
Se guardo dentro me stessa, scopro nei miei lavori la via della mia affermazione femminile, o meglio di donna lavoratrice.
Per autorealizzarmi con soddisfazione, nella dimensione di soddisfare, per dirla alla Abraham Maslow, un bisogno superiore, perché non considero altro per esprimere la mia personalità e determinarmi come soggetto, perché cose come la politica o attività simili, poco centrano con il senso del lavoro, aggiungo questo non senza ironia, guardando il panorama variegato politico italiano.
Ricordo mia nonna Teresina, nata nel 1902, che ancora settantenne e malpagata, si recava al lavoro al mercato di Varese, lei emigrante, ma ancora responsabile di una famiglia in via di sviluppo, che era stata tutta la vita indipendente economicamente dal marito, il quale pesava sul bilancio familiare per la sua salute cagionevole.
Ricordo dalle parole dei racconti dolci e malinconici del mio fidanzato Angelo, la vita di sua madre Gabriella, operaia metalmeccanica della Breda di Sesto San Giovanni, negli anni settanta. Partiva da casa, con la sua bicicletta, molto presto, all’alba circa, passando oltre gli orti di Sesto San Giovanni, luoghi che anche la gente milanese che ho incontrato mi ha riferito in questi anni.
Lei, nata nel 1952, operaia specializzata di un’industria fiorente nella seconda guerra mondiale, lasciava a casa due figli in età scolare, per aiutare, come nonna Teresina, l’economia della famiglia, sforzandosi lucidamente per non abbattersi, con il nodo in gola, cose che probabilmente ogni donna che lavora ha provato.
Gabriella è morta prematuramente di tumore ai polmoni, dovuto probabilmente alla sua dipendenza dal fumo, una forma di alienazione della vita passata lavorativa. Poco prima, qualche tempo dopo l’intervento che poteva salvarla, parlando proprio del lavoro, mi disse: “il lavoro mi ha reso libera! Anche tu lo sarai, vedrai cara!”.
La tematica del lavoro è metafora della realizzazione della libertà dell’uomo ed è cara a Marx, Engels, Weber. Filosofi e sociologi tedeschi del secolo scorso, studiosi della struttura sociale determinata dal senso del lavoro riappropriato dal soggetto e da come il lavoro possa essere fonte di alienazione e vissuta come una “gabbia d’oro”. Secondo Max Weber infatti, il lavoro può avere una valenza ambigua: positiva perché aiuta a formare un livello di autonomia e di autogestione della vita personale e della vita della società, ma anche formare un accumulo di capitale, di soldi in eccesso, di consumismo, di venale e bieca competizione finalizzata a sentirsi almeno su di un piano dello scontro i migliori, non a migliorare la società. Contemporaneamente il lavoro elabora e costruisce una costante e comunitaria collaborazione e ricerca e condivisione di mezzi e valori, divisione e integrazione dei compiti, inclusione dei più fragili, il progresso della cultura civile e dello stato.
Allora, buona festa del 1°maggio a tutti e a tutte coloro che credono ancora che il lavoro nobiliti gli individui, concetto ripreso dalla Costituzione della Repubblica, nel 1°articolo, scritto con un senso profondo di umanità, dei tempi in cui fu scritta: “la Repubblica democratica italiana è fondata sul lavoro”.