La Quito ribelle II. Donne de abajo

da | Ago 10, 2022 | Donne dal mondo

Volti segnati dalla intemperie cui si espone chi fa lavori umili sempre all’aperto o dalla dura esperienza nelle carceri, dov’erano finite per aver commesso quei “delitti di povertà” che la necessità di sopravvivere e di mantenere – quasi sempre da sole – i propri figli, impone alle donne che stanno “in basso” anche in Ecuador. Eppure a Quito, le Mujeres de Frente – parte di un femminismo popolare, autonomo e anticapitalista – sono impegnate a costruire comunità urbane che affermano la propria dignità opponendosi, nelle pratiche della vita quotidiana, al razzismo e allo stigma che subiscono dall’esterno e all’interiorizzazione di un’oppressione patriarcale tanto consolidata nel tempo da sembrare in apparenza quasi naturale. In un edificio del centro storico della capitale, occupano cinque piani dove fanno vivere una Scuola di Formazione Politica Femminista e Popolare, una mensa, un laboratorio di sartoria e lo spazio necessario a prendersi cura dei figli, ma stanno progettando anche una biblioteca e un orto urbano.

“Siamo parte di un femminismo popolare, autonomo e anticapitalista”, spiega Andrea nell’enorme cucina e sala da pranzo situata al terzo piano di un vecchio edificio di fronte a Plaza del Teatro, nel centro storico di Quito. Decine di donne si muovono intorno a noi con i figli e le figlie, i volti segnati dalla vita trascorsa nelle carceri oppure dalle intemperie di un’esistenza vissuta sempre all’aperto, come venditrici ambulanti.

Le Mujeres de Frente occupano cinque piani dell’edificio – ceduto in comodato d’uso dall’ufficio del sindaco – dove si susseguono la cucina e la sala da pranzo, lo spazio per il nido delle bambine e dei bambini, il laboratorio di cucito, un piano vuoto che ospiterà una biblioteca e la terrazza sul tetto, dove installeranno un orto urbano.

Per ora funzionano diverse iniziative: la Scuola di Formazione Politica Femminista e Popolare a cui partecipano circa 40 donne, lo Spazio di Wawas (per bambine e bambini ma anche adolescenti), la cucina e la mensa popolare dove hanno messo in piedi anche la Canasta Comunitaria de Alimentos (dove si acquistano prodotti all’ingrosso dai piccoli agricoltori e poi si distribuiscono al dettaglio tra le militanti) e il Laboratorio di Cucito che vende nei banchetti dei mercatini e online.

Mujeres de Frente è una comunità di donne razzializzate per il colore della pelle e criminalizzate per quelli che chiamano “delitti di povertà”, piccolo spaccio di droga e piccoli furti, in particolare di telefoni cellulari. Le mujeres si definiscono anche “nomadi”, perché molte di loro sono emigrate da altri paesi o dall’estero, perché non hanno nulla di loro proprietà e hanno vissuto in tanti luoghi diversi, e perché vengono dalla lotta, “dal carcere, dalla strada, dai maltrattamenti, dal doversela cavare giorno per giorno”.

La compa che ci mostra gli spazi, Heidy, ci spiega nel dettaglio come funziona il Laboratorio di Cucito: “Siamo partiti con tre macchine industriali e ora ne abbiamo otto”. Le considerano un mezzo di produzione messo in comune e combinano apprendimento e produzione, perché molte di loro ancora non conoscono il mestiere. Adesso si tratta di condividere le conoscenze. Fanno e aggiustano i capi e, a volte, lavorano anche su ordinazione.

La cosa più interessante è come distribuiscono i proventi delle vendite: “In assemblea abbiamo discusso i criteri per la distribuzione del reddito. Ad esempio, potrebbe accadere che una giovane sarta che lavora molto velocemente possa guadagnare molto di più di una vecchia che va più adagio. Noi però intendiamo evitare la disparità di guadagno e questo ci porta a condividere ciò che viene raccolto“. Sono state stabilite, poi, un paio di regole molto rigide: non tradire la fuducia e mantenere gli spazi puliti.

Diventare soggetti collettivi

Nella Scuola di Formazione Politica cercano di ricostruire un po’ di storia dell’Ecuador. Stanno mettendo insieme gli alberi genealogici delle compagne e quelli dei mestieri, che si incrociano tra loro e mostrano che quasi tutte sono capofamiglia, che soffrono persecuzioni della polizia e dello Stato non appena escono in strada per riciclare, vendere o svolgere qualsiasi altra attività.

Da una parte si considerano “donne scarcerate, familiari di persone detenute, venditrici ambulanti autonome, donne che fanno riciclaggio di rifiuti urbani, lavoratrici pagate a cottimo, studentesse e insegnanti”. Dall’altra parte, sostengono che il problema principale che devono affrontare è “la distruzione quotidiana dei fili che tessono le comunità urbane”, per questo attraverso la Scuola intendono “capire come le lame delle élite hanno tagliato e continuano a strappare i fili delle nostre trame. Abbiamo bisogno di tornare sui percorsi dei nostri popoli”.

Al Laboratorio che abbiamo fatto con la Scuola hanno partecipato 46 donne e siamo riusciti ad aprire la discussione sulle migrazioni rurali-urbane. Molte donne hanno ricordato le fustigazioni del padrone e come siano state vendute dai padri e dalle madri per servire nella hacienda, pratiche che continuano ancora oggi. Con loro grande rammarico, hanno riconosciuto di aver interiorizzato il brutale patriarcato della “huasipunguera hacienda” 1 , che hanno portato nell’ anima e nei corpi in città, dove è spesso riprodotto nelle relazioni quotidiane e anche nelle organizzazioni.

Questa è una delle sfide principali di Mujeres de Frente: liberarsi collettivamente dalle oppressioni interiorizzate da cinque secoli, difficili da superare perché risultano quasi naturali, anche se predatorie nei confronti di ogni persona e dell’ambiente.

Insieme ad altri gruppi – diritti umani, anti-carcere, sostegno ai migranti e media alternativi – hanno creato l’Alleanza contro le carceri, a difesa delle donne e degli uomini incarcerati per “delitti di povertà”. Allo stesso modo, difendono coloro che subiscono la criminalizzazione per essere migranti, poiché anche quello è un “delitto” che colpisce sempre i più poveri.

Il Manifesto dell’Alleanza sostiene che “il carcere è un esperimento di repressione e annullamento della vita psichica affinché noi stesse possiamo costruire le nostre prigioni, nei nostri legami e desideri” ( https://bit.ly/3vmkp81 ). Si prova a costruire una visione anti-statale e anti-patriarcale delle carceri, “una visione che ricostruisca i punti di vista delle donne e delle persone dissidenti di genere attanagliate dallo Stato carcerario”.

Femminismo de abajo

Chi lavora per l’abolizione delle carceri rifiuta la logica dello Stato; essendo donne razzializzate, loro fanno crescere un sentimento di rifiuto del colonialismo e del patriarcato e concludono che “sempre più gli Stati trovano nella reclusione una soluzione ai problemi sociali ” perché non sono in grado di immaginare altre strade.

Andrea delinea una riflessione chiarificatrice: “Sappiamo di essere un’eccezione, perché il femminismo urbano è bianco e accademico”. Sono donne de abajo, che non aspirano a scalare il sistema, ma a rimanere dove sono sempre state. Lo fanno con dignità e coltivando la solidarietà con le compagne. Le poche che provengono dai settori delle classi medie hanno scelto di “scendere e non di salire“, un’etica zapatista che sembra necessaria per la sorellanza con le oppresse.

Quello delle Mujeres de Frente è un modo di fare e di pensare che richiama i concetti del brasiliano Yedo Ferreira. A 88 anni, Ferreira, che fa parte del Movimento Nero Unificato, fa ancora una riflessione molto importante: “La militanza è un movimento d’élite. Siamo un’élite in relazione alla massa della popolazione nera, secondo gli studi. Non siamo un’élite economica, perché nessuno ha i soldi, ma lo siamo per via degli studi”.

In un periodo in cui predomina una cultura politica di interesse personale, Mujeres de Frente è insomma un riferimento imprescindibile, per il suo nitido posizionamento etico. Come sottolinea l’editoriale del quotidiano Sitiadas , “abbiamo dalla nostra parte l’insurrezione e la lucidità”. Le mujeres sanno di essere diverse dall’idea di cittadinanza media ma si sentono tanto forti da poter sostenere la vita anche in mezzo al castigo e allo stigma.

“Nonostante il dolore presente nelle nostre comunità, lottiamo per recuperare la nostra storia. Lontane dalla politica ufficiale, costruiamo significati comuni, ancorate a trame collettive in cui tutte abbiamo spazio. Abbiamo la forza creatrice del desiderio di sopravvivenza e della vita in pace” (https://bit.ly/3zFWov9).

Nota

1 Nella storia dell’Ecuador, in questo tipo di hacienda, in cambio del lavoro invece di ricevere un compenso monetario, veniva dato agli indigeni un piccolo appezzamento di terra. Lì potevano costruire le loro capanne e utilizzare la terra circostante per coltivare cibo. È una delle forme di sfruttamento del lavoro che è stata formalmente abolita dalle riforme agrarie del 1964 e del 1974.

La versione originale in castigliano è su Desinformémonos
Traduzione per Comune-info: marco calabria