La causa di separazione e di affidamento del figlio minore che vive in un altro paese Ue con la madre non può essere trasferita all’autorità giudiziaria del paese di residenza, se la madre ha deciso di trasferirsi contro il volere del padre. Infatti, la possibilità offerta dalla legislazione comunitaria di trasferire la causa nel paese Ue in cui risiede il minore, è tassativamente limitata alle ipotesi in cui esista un legame particolare tra il minore e lo Stato di residenza, e sempre che ciò corrisponda al suo interesse.
Lo ha affermato la Suprema Corte nella sentenza 13317 di oggi, respingendo il ricorso di una donna milanese in causa di separazione con il marito, con il quale aveva una figlia di cinque anni. La donna si era trasferita in Inghilterra, dove insegnava in un’università, insieme alla piccola di appena un anno, decidendo in totale autonomia, contro il volere del padre, anche se preventivamente autorizzata dal Tribunale dei minorenni. I giudici di primo grado avevano pronunciato la separazione dei coniugi e affidato la bambina al comune di Milano, ordinando alla madre di tornare immediatamente in Italia, decisione questa confermata in appello. La Corte d’Appello respingeva poi la richiesta della donna di trasferire la causa all’autorità giudiziaria inglese, opportunità prevista da un regolamento comunitario del 2003 che, in caso di minori residenti un altro paese membro, permette il trasferimento, in via del tutto eccezionale, della causa alla giurisdizione del paese in cui risiede il minore. Il trasferimento di giurisdizione può però avvenire solo in presenza di un forte legame con il paese di residenza, ed è soggetto a precise restrizioni, tutte volte a garantire il preminente interesse del minore. La madre della piccola sottolineava, a sostegno della sua richiesta, che la bambina, portata in Inghilterra ad un anno dalla nascita, aveva trascorso la maggior parte della sua esistenza in quel paese, e allegava inoltre una fitta documentazione, rilasciata dai medici e dai servizi sociali inglese, che accusava il padre di abusi sessuali ai danni della figlia. Le Sezioni Unite civili della Cassazione, dopo aver giudicato inattendibile la documentazione presentata dalla donna, ha definitivamente respinto la sua istanza di trasferimento, concordando con la ricostruzione effettuata dai giudici di merito. La richiesta di trasferimento all’autorità giudiziaria di un altro paese comunitario infatti, deve basarsi su un legame profondo tra il minore e lo stato verso il quale si vuole trasferire la giurisdizione, legame che non può sussistere se “la causa riguarda cittadini italiani il cui figlio si sia trasferito all’estero per decisione unilaterale della madre e con l’opposizione del padre, la quale comunque ritorna frequentemente in Italia, dove il minore ha strutturato rapporti interpersonali con altri componenti della famiglia, non potendo in tal caso la sua residenza anagrafica coincidere con la nozione di "residenza abituale del minore", presupposto per il trasferimento di competenza, che richiede un radicamento effettivo e una piena integrazione del minore”.