Garantita la riservatezza della donna che può rifiutare di rendere note le sue generalità. Piazza Cavour colma un vuoto normativo – Sentenza, 25 Gennaio 2017
La Cassazione facilita la procedura per conoscere le proprie origini in caso di parto anonimo. Il giudice, su istanza del figlio, potrà interpellare la madre sulla volontà di fare “outing” oppure no.
Colmando un vuoto normativo, la Suprema corte ha accolto il ricorso della Procura generale con la sentenza n. 1946 del 25 gennaio 2017.
Ancora una volta il Massimo consesso di Piazza Cavour non aspetta i tempi biblici del Parlamento al quale si sostituisce con un principio destinato a far discutere.
In fondo alle lunghissime motivazioni si legge infatti che «in tema di parto anonimo, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 278 del 2013, ancorché il legislatore non abbia ancora introdotto la disciplina procedimentale attuativa, sussiste la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini e di accedere alla propria storia parentale, di interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione, e ciò con modalità procedimentali, tratte dal quadro normativo e dal principio somministrato dalla Corte costituzionale, idonee ad assicurare la massima riservatezza e il massimo rispetto della dignità della donna; fermo restando che il diritto del figlio trova un limite insuperabile allorché la dichiarazione iniziale per l'anonimato non sia rimossa in seguito all'interpello e persista il diniego della madre di svelare la propria identità».
Nelle motivazioni gli Ermellini precisano che non sarebbe a rischio la privacy della donna la quale, nonostante l’interpello del giudice, può decidere di restare anonima.
La decisione delle Sezioni unite prende spunto dalla sentenza n. 278 depositata quattro anni fa dalla Corte costituzionale. Infatti in quell’occasione il Giudice delle leggi riconobbe il fondamento costituzionale del diritto all'anonimato della madre, il quale riposa “sull'esigenza di salvaguardare lei e neonato da qualsiasi perturbamento e ha ribadito che la salvaguardia della vita e della salute sono i beni di primario rilievo presenti sullo sfondo di una scelta di sistema improntata nel senso di favorire, per sé stessa, la genitorialità naturale. Ma ha riconosciuto che anche il diritto del figlio a conoscere le proprie origini – e ad accedere alla propria storia parentale – costituisce un elemento significativo nel sistema costituzionale di tutela della persona.
La decisione di oggi cerca di contemperare le due esigenze.