La donna e la violenza di gruppo di Giulia Borgese, Corriere della Sera 1975

da | Feb 11, 2010 | Scritti d'archivio

Ieri un’altra ragazza aggredita e violentata da quattro giovani, dai diciotto ai vent’anni. Questa volta a Milano, al quartiere Gallaratese, dietro il cimitero di Musocco, senza la cornice di lusso delle ville del Circeo, ma nei campi dove la città si perde e non si decide a diventare campagna. Un’altra volta è un gruppo di ragazzi che aggredisce e poi si fa prendere, non tenta neanche di dire “Io non c’ero”, uno solo era arrivato un po’ più lontano, fino al solito bar per la solita partita a carte. Un’altra volta si tratta di sottolineare l’istinto gregario che spinge i ragazzi di oggi a essere, appunto, parte di un gruppo.

Lo psicologo e il sociologo un’altra volta ci spiegano che oggi la cerchia ristretta della famiglia ha lasciato il posto, ha ceduto il suo ruolo educativo, al gruppo. Quando il bambino nasce è già “uno” del gruppo dei collettini gialli o di quelli verdi, e via via, in tutto il corso degli studi farà sempre parte del suo gruppo. Fin da bambino imparerà che chi è troppo intelligente come chi è troppo tardo sarà messo fuori dal gruppo. Gli inglesi ci hanno per primi insegnato che il “top clever” è Oscar Wilde o Virginia Woolf, dei geni ma anche dei fuorilegge. Chi cercava lavoro sa bene che rispondendo al quiz della selezione del personale, deve dissimulare le sue doti: uno non può essere troppo intelligente se cerca un posto di rappresentante di detersivi. Cosicché capita che oggi le deviazioni non siano più individuali, ma, appunto, di gruppo: al posto del mostro di Londra, oscuro principe dell’individualità, c’è il gruppo di Satana-Manson. All’istinto di autodistruzione del singolo si è sostituito l’istinto di autodistruzione del gruppo.
E si tratta per lo più di aggregazioni  maschili. E’ logico quindi che la violenza venga esercitata su quello che per tradizione è il sesso debole, proprio come prova della virilità del gruppo.
Negli stati Uniti le femministe si rivoltano da tempo contro la continua violenza maschile organizzata in bande, mentre il quotidiano Christian Science cinicamente pubblica il decalogo che deve rispettare ogni cittadina aggredita: non opporre alcuna resistenza, fingere anzi di provare piacere, intanto osservare tutto quello che si riesce: il numero degli aggressori, il loro colore di pelle, di capelli e di occhi, la statura, i segni particolari.
In Francia Francoise Giroud, sottosegretario per la condizione femminile, chiede la presenza di una donna in ogni commissariato di polizia e auspica l’introduzione dell’insegnamento di Karatè nell’educazione delle ragazze.
Il collettivo femminista milanese di via Cherubini ci scrive per denunciare che oltre all’aspetto più vistoso della violenza contro le donne “che vengono quotidianamente uccise, picchiate, insultate, costretta a prostituirsi, esiste un altro aspetto più insidioso perché meno appariscente: è l’abitudine che noi facciamo alla violenza. Evitare di fare una passeggiata, di sederci in un bar, di andare al cinema da sole, di uscire la sera senza essere accompagnate da un uomo, equivale a toglierci dalla circolazione, mutilare la nostra libertà di espressione a tutti i livelli”. Per questo le femministe milanesi non sono d’accodo con le spiegazioni date in occasione del fatto del Circeo: “Certamente non con quella di chi ha accusato moralisticamente l’influenza dei mass-media…ma nemmeno con quella di chi, messo di fronte a un episodio di violenza carnale, non ha saputo vedervi altro che il segno dello sfruttamento materiale che i padroni esercitano sulla classe sottomessa”. La violenza carnale sostengono è solo l’aspetto più vistoso di una violenza che le donne subiscono quotidianamente.
E non si può dal loro torto se si ripensa all’anneddottica portata da ogni famiglia e di ogni quartiere, e che riguarda donne giovani, meno giovani e anche anziane, invitate, seguite, molestate, insultate per strada, in tram, al cinema, sottocasa: e non già dal singolo più o meno maniaco in cerca di un pur misera avventura come si usava cinque anni fa, ma da un gruppetto di giovani che le costringono a rifugiarsi su un taxi o in un negozio, a cercare un vigile. Sperando poi che non capiti loro come a quelle due studentesse che seguite, sorpassate, risorpassate, impaurite, da una macchina, con quattro giovani maschi a bordo, avevano finalmente trovato un vigile urbano e avevano chiesto la sua protezione, ma il vigile, guardandole troppo attentamente, si era limitato a rispondere: “Uh per carità, anch’io al loro posto farei lo stesso!” e si era rimesso a dirigere il traffico.

Commento di Marta Ajò

1975, 1985, 1995, 2005…Gallaratese, Circeo, campi…non ci sono anni cruenti o posti perduti o sperduti dove capita l’imponderabile.
C’è la violenza, quella dell’uomo contro le donne che, come denunciava il collettivo di via Cherubini, allora come oggi, vengono uccise, picchiate, insultate, stuprate, costrette a prostituirsi.
Possibile che il progresso in tutti i campi, da quello tecnologico a quello delle ricerche scientifiche,  non modifichi questo ‘esserino’, questo ‘omuncolo’ che riesce a sentirsi forte solo attraverso la violenza verso un altro essere? donna?
Speriamo che fra alcun’altre decine di anni, le prossime donne, non debbano rileggere queste righe per ritrovarcisi a
ncora