È scomparsa in questi giorni Madeleine Albright, la prima Segretaria di Stato del mondo; universalmente ritenuta un falco usava anche il linguaggio da caserma. Tuttavia, da quando ho scoperto il suo indubbio femminismo – esploso dopo il pensionamento -, ho ripensato alle prese di posizione americane di quegli anni e mi sembra che sia stata una di quelle donne professionalmente superbrave dette sempre brava come un uomo, che pagano lo scotto del loro essere donne.
E lei frequentava solo gli ambiti politici internazionali in cui, come diceva Christine Lagard, circola troppo testosterone. Infatti era stata una rifugiata – era nata a Praga – e sosteneva che i profughi sono una risorsa, ma doveva anche dire che per gli USA era duro, ma valeva la pena anche se moriva mezzo milione di bambini per salvare dalla tirannide di Hussein l’Iraq (anche se poi si seppe che era falso che avesse usato i gas e la violenza contro il suo popolo). Il rifugiato ha sempre paura delle privazioni subite: “Le tentazioni autoritarie sono e saranno sempre in agguato, lo dico a voi in quanto europei e lo ripeto spesso a me in quanto americana. Nessuno è mai al sicuro dall’autoritarismo”.
Erano gli anni di Clinton e degli accordi di Dayton: la Segretaria di stato Usa sostenne una posizione favorevole al Kosovo e più rigida nei confronti dei Serbi che vollero la Repubblica Srpska. Che fosse difficile essere responsabile degli interessi americani e dei principi di libertà universali lo riconobbe lei stessa quando raccontò che alla prima partecipazione al Consiglio di Sicurezza dell’Onu si trovò a un tavolo come sola donna con 14 uomini: si domandò “che ci faccio io qui?” poi, visto il cartellino che davanti al suo posto recava la scritta “Governo degli Stati Uniti” tirò avanti, dura e competitiva come sempre.
Comunque, anche se la penso falco, fu molto istruttivo rendermi conto ancora una volta che, quando noi donne partecipiamo alla politica con responsabilità istituzionale, ci adeguiamo tutte quante e gli interessi del nostro genere passano in secondo piano anche per noi.
Sorprende che nel terzo millennio – emancipazione, si supponeva, finalmente risolta, almeno in Occidente – non ci vengano in mente nomi confrontabili con la confessione – ma a fine mandato – della propria almeno parziale estraneità. Non sono mutate le funzioni dei Ministeri degli Esteri nel dilatarsi delle relazioni internazionali più o meno democratiche che hanno reso la carriera diplomatica una professione particolare ma aperta a moltissime donne; ma, come nella professionalità universitaria o militare, la parità politica eÌ€ assolutamente condizionata dall’accettazione, già introiettata negli studi, del modello unico.
Proprio la politica internazionale ha opposto maggiori resistenze alla presenza femminile: non più di tre anni fa, a proposito di una foto di gruppo a margine di una conferenza europea, in cui figurava come unico membro femminile, l’Alta Rappresentante per la Politica Estera Europea, l’ottima Federica Mogherini, commentava su Twitter “Long way to go, for women in foreign policy”. Il nocciolo del problema è, davvero, la politica che rifiuta di cambiare paradigmi.
Madeleine Albright, in dichiarazioni e interviste di anni recenti (Google riporta frasi interessanti) raccontò che in una riunione con donne di governo di molti paesi del mondo si trovò con alcune a parlare della condizione femminile di cui nessuna aveva notizie positive nei relativi contesti: chiusero nell’auspicio che “quando saremo in molte a governare diminuirà la produzione di armi e si incomincerà a ragionare di politica internazionale in altro modo”. Per questo, anche se non stimava molto il femminismo di Hillary Clinton, promise alle donne americane che sostenevano Bernie Sanders “un posto all’inferno per donne che non sono solidali con le donne” quando si tratta di posti di potere. In un intervento all’Harvard Forum (11 aprile 2007) come professionista della politica sostenne che “quando si cerca di risolvere questioni difficili, talora è necessario rivolgersi all’avversario come a un amico: gli storici hanno una parola per definire questa pratica: diplomazia. Ma armageddon is not a foreign policy”. Vale anche oggi: quando c’è guerra prima o poi bisogna trattare la pace.
fonte: https://www.noidonne.org/articoli/madeleine-albright-la-prima-segretaria-di-stato-del-mondo.php