E se la terza via fosse quella delle donne? (Whatever it Takes)

da | Giu 3, 2020 | Donne e politica

di Isa Maggi

 

 

Noi siamo di destra, di sinistra e stiamo nel centro e la politica degli uomini non ci interessa più.

Saremo un movimento da prefisso telefonico? Chiediamolo ai 12 milioni di donne che non hanno votato nella tornata elettorale delle europee del 26 maggio.

Ci stiamo preparando per le elezioni regionali, costruendo i “Patti delle donne” nelle varie Regioni che andranno al voto, immaginiamo a settembre 2020.

Dopo che abbiamo lanciato il “Patto per le donne”, un invito alla creazione di un Piano nazionale per l’occupazione femminile, dopo che abbiamo chiesto a più voci e con modalità diverse di inserire le donne nelle Task force per dare uno sguardo di concretezza e di lungimiranza alle scelte sul post Covid ora il problema sul Tavolo è la questione europea e soprattutto l’utilizzo dei fondi che arriveranno, speriamo presto da Bruxelles.

Chi deciderà sull’utilizzo dei fondi? Chi sta decidendo sulla riprogrammazione dei fondi strutturali residui? Chi sta decidendo sulla programmazione dei prossimi 7 anni?

L’occupazione femminile è gravemente colpita dalla crisi #COVID19

L’attuale fondo di ripresa UE però promuove settori con percentuale molto bassa di forza lavoro femminile.

Chiediamo che almeno la metà dei Fondi previsti sia spesa per l’occupazione femminile attraverso la petizione #HalfOfIt

Qui il link per aderire

https://you.wemove.eu/campaigns/halfofit-chiediamo-la-meta-dei-fondi-anti-crisi-covid-19-per-le-donne?utm_campaign=PTHyoAyArv&utm_medium=whatsapp&utm_source=share
Non crediamo siano utili strumenti come le quote rosa ma ora siamo in una crisi senza precedenti.

Bisogna che il Governo abbia coraggio e faccia di tutto per promuovere il lavoro e le imprese delle donne, in particolare deve permettere che l’imprenditoria femminile faccia un salto in avanti e per far questo ci vuole una politica industriale strutturale per sostenere le aziende e quindi il Made in Italy

Come si fa?

Servono incentivi alle aziende italiane per creare valore sulle produzioni di nicchia legate all’agricoltura, all’enogastronomia, all’artigianato, al turismo sostenibile e creare filiere per la internazionalizzazione, oltre che investimenti per incentivare gli investitori ad arrivare in Italia e infine anche per attrarre turismo.

Serve stare al passo della veloce trasformazione digitale in atto utilizzando il felice connubio tra cooperazione e competizione oltre che la gestione familiare diffusa, ora che i costi si sono abbattuti le nuove tecnologie come la blockchain e l’intelligenza artificiale potrebbero sostenere la tracciabilità e conformità dei prodotti che sono alla base del Made in Italy.( Evitiamo però le mistificazioni legate al 5G , si può fare buona innovazione e diffusione della banda larga anche senza il 5G)

Ma torniamo a parlare di Europa.

Fino ad oggi se l’Europa ha evitato il peggio deve ringraziare Mario Draghi che era arrivato a Francoforte nel 2011 in piena crisi. La sua prima mossa è stata specificare che l’euro doveva restare e che per tenerlo vivo si sarebbe fatto di tutto, il “Whatever it Takes”. Come conseguenza di questa decisione iniziò il finanziamento a tassi agevolati delle banche. Infine nel 2015 è arrivato, non essendo sufficiente la politica di taglio dei tassi per rilanciare l’economia, l’acquisto del debito pubblico dei Paesi dell’Eurozona, con il Quantitative Easing.

Il primo obiettivo di Draghi fu quello, attraverso bassi tassi di interesse, di spingere le banche a finanziare l’economia reale. I tassi riconosciuti alle banche di credito ordinario per i loro depositi non obbligatori presso la Banca Centrale divennero negativi per incentivare l’impiego dei fondi. Mentre le banche di credito ordinario, se avessero voluto aumentare i crediti, sarebbero state finanziate dalla Banca Centrale a tassi nulli.

Il secondo obiettivo di Draghi fu quello di schiacciare attraverso il Quantitative Easing il costo del debito pubblico fino a quando la ripresa non fosse divenuta stabile.

Nel frattempo il cambio della guardia a Francoforte e la pandemia hanno cambiato gli scenari ed ora serve una ricetta nuova.

Sono oltre 432.000 le imprese italiane dell’industria e dei servizi con dipendenti che hanno investito negli anni dal 2015 al 2018 in prodotti e tecnologie “green” per ridurre l’impatto ambientale, risparmiare energia e contenere le emissioni di CO2.

La Commissione von der Leyen ha lanciato l’accordo verde europeo come nuova strategia di crescita dell’Unione europea , al fine di promuovere la transizione verso un’economia neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050. Il piano di investimenti del Green Deal per l’Europa sostenibile, mira a contribuire al finanziamento di una transizione sostenibile, sostenendo al contempo le regioni e le comunità più esposte al suo impatto. Combinando iniziative legislative e non legislative, il piano affronta tre aspetti:

1) mobilitare finanziamenti per un valore di almeno 1 trilione di euro dal bilancio dell’UE e altre fonti pubbliche e private nel prossimo decennio;

2) porre la sostenibilità al centro delle decisioni di investimento in tutti i settori;

3) fornire supporto alle pubbliche amministrazioni e ai promotori di progetti per creare una solida base di progetti sostenibili.

Il dibattito sul piano di investimenti è collegato ai negoziati in corso sul quadro finanziario pluriennale (QFP) 2021-2027 dell’UE, che richiede il consenso e l’unanimità del Parlamento europeo in seno al Consiglio.

Noi donne dobbiamo essere presenti in questi Tavoli di discussione di negoziato.

Il Parlamento, forte sostenitore degli obiettivi climatici e ambientali, ha chiesto un QFP ambizioso, con risorse commisurate all’obiettivo di facilitare una giusta transizione verso un’economia a emissioni zero.

L’impatto della pandemia ha sollevato preoccupazioni che le strategie di decarbonizzazione potrebbero essere deragliate.

Noi siamo convinte che le strategie continuano a rimanere di fondamentale importanza per riscrivere una nuova Europa, solidale e sostenibile e che gli investimenti verdi da fonti pubbliche e private devono svolgere un ruolo centrale in qualsiasi piano di ripresa economica, soprattutto per l’Italia che verrà.

Isa Maggi