di Maria Giovanna Farina
Nutrirsi a volte diventa il problema della vita, non perché ci manca il cibo ma perché con esso abbiamo un rapporto strano. Senza condurre il discorso verso vere e proprie patologie, i cosiddetti disordini alimentari, rimaniamo nell'area delle difficoltà gestibili con la riflessione personale. Il cibo è comunicazione? Altroché! Comunicazione con se stessi e con il mondo. Se invito qualcuno a pranzo e dopo aver carbonizzato l'arrosto gli faccio trovare una scatoletta di tonno e due foglie di insalata posso volergli dire che non avevo tanta voglia di invitarlo, ma per qualche obbligo che sentivo nei suoi confronti l'ho fatto lo stesso.
Ciò non significa che ogni volta si brucia qualcosa il significato è quello, ma potrebbe esserlo. Nutrirsi è comunicare anche con il proprio corpo, vi sarà capitato di provare un irresistibile desiderio di riempirvi la bocca di zucchero? Potrebbe essere dovuto ad un calo di zuccheri nel sangue e subito il nostro istinto di autoconservazione si sta mettendo in moto per sostenerci. E che dire delle grandi abbuffate per reagire ad un amore finito? Altro esempio di come, tentando di superare una delusione, ci si butta a capofitto nelle torte alla panna o si trangugia una tavoletta di cioccolato: il loro sapore rimanda al latte e al ventre materno.
Quando siamo in difficoltà è naturale voler tornare bambini, ai bei tempi in cui la mamma ci accudiva; ciò non deve farci sentire deboli e infantili: allora il cibo faceva parte del suo accudimento, oggi rappresenta solo un nostro bisogno di gratificazione. È interessante anche imparare a notare quali sono le vivande che più amiamo offrire ai commensali, li c'è senz'altro una parte di noi, qualcosa che desideriamo condividere, qualcosa di speciale da comunicare.