di Linda Laura Sabbadini
Ottocentoquarantamila occupati in meno rispetto al secondo trimestre di un anno fa. Quasi tutti nei servizi.
Mai successo. Nelle crisi precedenti era l’industria ad essere colpita di più, le costruzioni. È anomalo, ma è comprensibile, ristorazione, alberghi, servizi alle famiglie, commercio sono stati particolarmente colpiti dagli effetti della pandemia.
L’intervento massiccio di protezione con gli ammortizzatori sociali e il blocco dei licenziamenti, ha permesso di tamponare la situazione per ampi settori di lavoratori, ma per i più precari è stato più difficile e anche per gli indipendenti. Sono 650 mila lavoratori in meno con contratto a tempo determinato. Non solo perché nella crisi le imprese alla scadenza hanno rinnovato meno i contratti, ma anche perché hanno attivato meno nuovi contratti. E chi ne ha fatto le spese? Chi tradizionalmente è maggiormente inserito in lavori precari, giovani, donne e lavoratori del Mezzogiorno specie nei servizi.
I giovani e il Mezzogiorno erano già stati colpiti abbondantemente dalla crisi precedente, siamo arrivati alla epidemia con un tasso di occupazione dei 25-34enni inferiore di 8 punti rispetto al 2007. D’altro canto il Sud nel 2019 ancora non aveva recuperato il numero di occupati del 2007. La novità riguarda le donne che nella precedente crisi avevano perso meno occupazione e recuperato prima degli uomini, proprio perché più inserite nei servizi. E ora pagano il prezzo altissimo della maggiore precarietà del loro lavoro, e dell’ inserimento nel settore dei servizi, perdendo molta occupazione nella ristorazione, alberghi e servizi alle famiglie. Più del 5% di lavoratrici in meno è un dato pesante, considerando che meno della metà delle donne lavora.
Attenzione, questi dati sono un vero campanello d’allarme, che ci dice che dobbiamo agire in fretta, non possiamo aspettare. È vero che a luglio c’è stato un piccolo risultato incoraggiante. Ma è anche vero che questo calo è avvenuto nonostante il massiccio intervento di misure a protezione. E quando finirà il blocco dei licenziamenti cosa succederà?
Dobbiamo usare tutti gli strumenti a disposizione, compreso il Mes, sostenendo fortemente il mondo delle imprese, ma investendo anche sul settore pubblico, senza aspettare i tempi del Recovery Fund.
Gira nel nostro Paese uno stereotipo, quello dei troppi dipendenti nel settore pubblico. Non ne abbiamo troppi se guardiamo ai numeri europei. Troppo pochi, ne abbiamo bisogno di più, con nuove competenze e professionalità, e di alto livello qualitativo per avviare la vera grande riforma di una Pa più giovane e efficiente. Solo se ci avvicinassimo ai valori della Germania dovremmo più che raddoppiare il personale infermieristico, se volessimo arrivare alla media europea per dipendenti della Pubblica Amministrazione, Istruzione, Sanità e assistenza sociale non necessariamente pubblici, dovremmo incrementare del 50% il nostro personale. Non ci abbiamo investito da anni. E ci siamo quasi convinti che fosse giusto.Il Covid ci ha dimostrato che sbagliavamo.
Per combattere le disuguaglianze è necessario investire in formazione fin dai bimbi piccoli al nido e per tutto il percorso, in infrastrutture per la cura che mettano al centro la persona con i suoi bisogni e specificità, attraverso un welfare di prossimità. Perché dobbiamo sacrificare la vita delle persone? Perché le donne non possono liberarsi del sovraccarico di cura gratuito e non possono usufruire dei servizi che gli altri Paesi hanno? Perché i giovani istruiti e non, sono costretti ad emigrare? Perché abbiamo ancora timore ad investire nei servizi di pubblica utilità come se fossero investimenti improduttivi in sé. E se pensate un attimo, nei dibattiti ci concentriamo solo sulle grandi opere e sulle infrastrutture economiche, pure fondamentali, magari con approccio green. Le infrastrutture sociali sono messe da parte nel dibattito pubblico, ma sono una leva fondamentale per il miglioramento della qualità della vita di tutti e trainano occupazione femminile, giovanile anche nel Mezzogiorno. E portano sviluppo. Rifondiamo il nostro sistema di welfare, sviluppando coesione sociale, con l’aiuto del terzo settore. Rilanciamo il settore pubblico improntato all’innovazione, efficiente, dalla parte dei cittadini e delle imprese, avanzato tecnologicamente, creativo. Ma facciamolo in fretta, subito, con grande determinazione.
la Repubblica 12 settembre 2020