di Linda Laura Sabbadini*
In particolare il 20% delle famiglie che hanno redditi più bassi, subirà una diminuzione due volte maggiore del 20% di chi ha redditi più alti. Il che significa che le diseguaglianze sociali cresceranno e di molto. E aumenteranno i disagi proprio di chi stava già peggio. E purtroppo piove sul bagnato. Perché il nostro
Paese non è riuscito all’indomani dell’uscita dalla recessione nel 2014 a mettersi sulla strada di una crescita inclusiva. Prima di tutto perché la crescita è stata debole e non ci ha permesso di tornare ai livelli pre-crisi del Pil. Tanto meno è stata inclusiva, visto che la povertà, dopo essere raddoppiata nel 2012 e triplicata per bambini e giovani, è migliorata solo nel 2019 e non è certo tornata ai livelli di partenza.
E ora ci aspetta una fase critica in cui andremo ancora più indietro, in cui in tanti perderanno il lavoro e tutti incontreremo gravi difficoltà.
Perché di segmenti fragili e più vulnerabili nel mercato del lavoro ce ne sono molti, dai precari agli irregolari, segmenti più difficilmente
tutelabili soprattutto nei settori che più sono rimasti sospesi. Perché gli stessi ammortizzatori sociali sono transitori. Sarà dura, durissima.
Ma ci sono alcune parole chiave che dovranno guidarci. La prima è unità. Unità tra Italia e Europa, unità tra Nord e Sud, no a conflitti e strumentalizzazioni
politiche. Dobbiamo tutti guardare a un’unica cosa, l’interesse del nostro Paese. Non possiamo permetterci altro. Come è successo nel lockdown, tutti uniti e compatti contro la crisi. Manifestando un senso civico come mai successo prima in tutte le zone del Paese, come ha documentato l’Istat. Seconda parola, solidarietà. Chi ha di più deve aiutare chi sta peggio. Specie quando le difficoltà crescono. La crisi precedente ci ha mostrato che nonostante l’aumento delle diseguaglianze
il nostro tessuto sociale ha retto. Non sono emersi segnali di disgregazione sociale, non sono aumentati omicidi o violenze, come accade in queste occasioni. Le reti familiari e del volontariato sono state un baluardo fondamentale. Dobbiamo nutrirci di queste. Più ci aiuteremo l’un l’altro più riusciremo a superare le avversità. La terza parola è opportunità.
E’ difficile utilizzare questa parola dopo tanto dolore e tanti morti e di fronte a una crisi che si preannuncia così dura. Ma è la parola che sintetizza il grande salto che dovremo fare. Noi italiani siamo sempre stati all’altezza delle situazioni difficili, reagendo con creatività, passione, determinazione. Ci riusciremo anche questa volta. Ma la nostra classe dirigente dovrà fare sua la raccomandazione di Keynes, varare «un piano che consenta di resistere a lungo… concepito in uno spirito
di giustizia sociale…occasione per procedere più avanti di quanto si sia fatto finora, verso una riduzione delle diseguaglianze».
Con i fondi europei possiamo mettere «i disoccupati a scavare buche e a riempirle» oppure mettere mano ai nodi cruciali, mai affrontati in decenni dal nostro Paese. E’ arrivata l’ora del nostro New Deal, del grande piano per la ricostruzione nazionale economica, sociale e ambientale. E’ arrivata l’ora della fiducia tra noi tutti. Trasformeremo le nostre sofferenze in un grande balzo in avanti se riusciremo a mettere al centro le persone e i loro bisogni in un grande piano di rilancio di
investimenti pubblici e privati che rimodernerà il Paese.
*Direttora Centrale Istat.
Le opinioni qui espresse sono esclusiva responsabilità dell'autrice
e non impegnano l'Istat.
la Stampa, 30 maggio