di Elisabetta Righi Iwanejko
La cittadinanza è cultura. La cultura non sono di per sé i libri, ma è il tipo di conoscenza, il tipo di passioni, il tipo di idee che si possiedono, il modo di vita, il linguaggio. E’ ciò che facciamo senza che ci sia detto di fare. Dovendo pormi di fronte alla domanda su cos’è la cultura della cittadinanza, sul tipo di cultura che richiede l’esser cittadino, darei quattro risposte.
La cultura della cittadinanza è in primo luogo una cultura dell’uguaglianza, è una cultura del governo della legge, è una cultura della responsabilità, è una cultura del servizio.Mi spiego meglio. Essere cittadini implica una cultura dell’uguaglianza perchè i diritti civili e politici li condividiamo con tutti gli altri individui. Ognuno di noi può essere ricco o povero, bello o brutto, professare un credo religioso piuttosto che un altro, avere un colore della pelle piuttosto che un altro, ma se siamo cittadini, siamo tutti uguali. Nessuno è più cittadino degli altri ( frase tipica in antitesi alla cultura della cittadinanza è il “lei non sa chi sono io”).
La cultura della cittadinanza è una cultura del governo della legge, perchè cittadini lo si può essere soltanto in una particolare costituzione politica, soltanto in una libera repubblica o in una democrazia costituzionale. Non certo in una tirannide o in una monarchia, dove possono essere garantiti al massimo i diritti civili, non quelli politici. Qual è il carattere distintivo di una repubblica o di una democrazia costituzionale? E’ il fatto che non sono gli uomini a governare ma le leggi. Cioè il potere sovrano viene esercitato sempre secondo le leggi, che sono comandi impersonali, e i cittadini non sono sottoposti all’arbitrio di altri individui. Quindi la cultura della cittadinanza è una cultura che si impegna alla difesa del governo della legge. Quali sono, infatti, le due cose che un cittadino non può sopportare? Una è il privilegio, che consiste nell’aver diritto a beni che ad altri non spettano, l’altra è la discriminazione, il non aver diritto a beni che tutti gli altri possono avere. Dunque il cittadino non sopporta né l’attribuzione arbitraria di un bene, né l’esclusione arbitraria da un bene.
La cultura della cittadinanza è una cultura della responsabilità. Se il cittadino è quella persona che ha il dovere e il diritto di partecipare alle decisioni collettive, lo si deve e lo si può ritenere responsabile dei suoi atti politici.
La cultura della cittadinanza è una cultura del servizio. Il concetto non è facile da spiegare, perchè è del tutto lontano dalla cultura dominante nel nostro secolo che è determinato unicamente dal mercato. L’idea che esista il dovere di servire discende dal fatto che noi abbiamo un bene che appartiene a tutti, e questo bene è la libertà. La libertà è comune, e ne godiamo finchè la nostra Repubblica rimane una libera Repubblica e la sappiamo difendere dagli arroganti e dai corrotti. Se vogliamo continuare ad essere liberi, bisogna che ognuno di noi, oltre a curare i propri interessi individuali, sia in in grado di occuparsi della libertà comune. E’ una solidarietà che nasce dal fatto che percepiamo di avere delle cose in comune, e siccome ci teniamo, vogliamo tenerle vive. Perchè questo è un concetto difficile da spiegare? Perchè mentre è facilissimo spiegare che è razionale essere dei buoni cittadini, non è facile far capire come sia nell’interesse del cittadino servire il bene comune. Penso allo sforzo compiuto dalle donne italiane e sammarinesi per ottenere il diritto di voto, conquistato tardi e con fatica, da quelle stesse donne che sono state e sono tutt’oggi, parte della vita sociale e produttiva, che hanno lottato anche per poter trasmettere ai propri figli la gioia e l’orgoglio di essere cittadini consapevoli. Quando poi le cose sono conquistate con sacrifici, le si hanno care. Ecco perchè ritengo che la cultura della cittadinanza sia una cultura incompatibile con il privilegio, perchè il privilegio è una cosa che viene concessa e per me non ha valore. Ma se si ottiene qualcosa per merito, perchè la si conquista con il lavoro, con l’impegno, con l’intelligenza o con il sacrificio, avrà tutto un altro significato. Il privilegio crea obbligo, dipendenza perchè quel bene che è stato concesso può in qualsiasi momento essere revocato. Infatti, la vita del cliente è miserabile per questo. Ma il bene ottenuto attraverso la legge non può toglierlo nessuno, se non compiendo un atto illegale.
In conclusione, non è inutile ribadire come la CULTURA potrà davvero rivelarsi il volàno del cambiamento solo e soltanto se, oltre agli investimenti (necessari), saranno attuate POLITICHE per allargare sempre di più la base di chi può avere ACCESSO e, soprattutto, può elaborare CONOSCENZA (centralità strategica di Scuola, istruzione, educazione e, ad un livello successivo, Università). Altrimenti, sarà ancora una volta una cultura delle élite per le élite…un’occasione per pochi. La cultura – e l’accesso alla conoscenza e al sapere condiviso – oltre che motore della crescita, dev’essere agente di democratizzazione e di cittadinanza! Affinché ciò avvenga occorre ripensare anche il rapporto tra saperi e politica, tra cultura e politica, tra scienza e comunicazione.