Il dolore umano che ci provoca questa vicenda non può esaurirsi con parole di cordoglio che a volte attenuano l’ irrequietudine dell’ impotenza individuale.
E quel corpicino è diventato un caso di cronaca nera di cui scrivere.
Perché al di là delle parole, niente potrà realmente essere raccontato di quei pochi respiri. Il dolore umano che ci provoca questa vicenda non può esaurirsi con parole di cordoglio che a volte attenuano l’irrequietudine dell’impotenza individuale.
Perché quella creatura non era solo un corpicino nudo sull’asfalto di una delle tante città del Pianeta ma un neonato che rappresentava la continuità del mondo, della specie, del Dna, delle speranze e dei sogni.
Ad ogni nascita, ovunque e in ogni realtà storica, ha rappresentato e rappresenta colui che ha permesso e permetterà alla nostra specie di non estinguersi, di sopravvivere, di evolversi. Un neonato rappresenta la continuità della storia, della vita e del perché dell’esistenza.
Tutto ciò è stato cancellato con un gesto esecrabile , “L’ho buttato giù dalla finestra appena nato”, ha confessato la madre.
Che per nove mesi lo ha avuto in grembo e con esso il germe della vita, colei alla quale dalla creazione/nascita del Mondo è stato consentito di partorire.
Quella differenza di cui tanto siamo orgogliose!
Non è la prima volta che una madre uccide un neonato o un figlio. Dall’antichità ad oggi gli infanticidi sono stati commessi/motivati da ragioni più o meno comprensibili, mai giustificabili né accettabili dalle nostre regole come dai sentimenti.
Quello che è accaduto oggi purtroppo ci colpisce ancora di più per alcune circostanze.
Innanzi tutto, quando accadono tali misfatti, si è portati a pensare a situazioni di degrado ambientale o familiare, di realtà d’indigenza, di storie di abusi e violenze o di senza fissa dimora, sconosciuti, ombre della nostra società. Ci colpisce dunque che in questo caso invece tutto sia avvenuto in una città, in una famiglia cosiddetta “normale” per gli stereotipi che ci tramandiamo.
La confessione di questa donna “della porta accanto” invece è semplice e terribile. Ha raccontato infatti agli inquirenti, salvo smentite, di non essersi accorta di essere incinta fino al momento del parto, avvenuto dentro il proprio bagno come un comune quotidiano bidé, di un marito che non si era accorto di niente, di attribuire la grandezza della pancia a normali problemi di gonfiore intestinale. Che queste dichiarazioni vengano rilasciata nell’anno 2017 ci sembra quantomeno incredibile.
Come sembra incredibile, ma è solo un fatto di morale, che questa donna abbia atteso per nove mesi di vedere il volto della propria creatura prima di gettarla dalla finestra per disfarsene. Possibile ancora che nel nuovo millennio inoltrato non fosse al corrente che ormai ogni donna gravida che non voglia proseguire nella maternità, può partorire nell’anonimato e lasciare che il suo concepito abbia almeno la speranza di una vita dignitosa?
Azzardiamo l’ipotesi che questo bambino fosse il frutto di una relazione illecita, che non abbia avuto il coraggio di confessare al marito, di mettere in crisi il matrimonio, che non sapesse come farsi ricoverare in anonimato senza che i familiari ne venissero a conoscenza… ipotizziamo pure.
In ciascun caso quello che ci sembra terribile è la paura che ha dominato questa donna conducendola all’omicidio. Paura del marito, della società, dell’amante, di sé e della responsabilità che un atto esecrabile come questo può produrre. Un persona debole, dipendente oppure un mostro.
Purtroppo, viene da riflettere che cultura abbiano prodotto i nostri sistemi sociali, le nostre battaglie femminili, l’informazione.
La giustizia farà il suo percorso ma niente potrà rendere giustizia a quel bambino né attenuare l’oblio di una coscienza materna.
Marta Ajò, pubblicato su Dols