Usare durante una trasmissione televisiva espressioni come "troppo amore", per giustificare un tentato femminicidio, allontana dalla comprensione della vicenda
Non è trascorsa neppure una settimana, da quando un telegiornale pubblico ha trasmesso un servizio di pubblica ammenda sull’uso improprio di alcuni termini nel racconto della violenza di genere, che al passo in avanti ne è conseguito un ben più rilevante all’indietro. Così, mentre il Tg 2 lanciava la campagna “L’amore è un’altra cosa” con l’obiettivo di veicolare al proprio pubblico il messaggio che la violenza non si apparenta con l’amore, si ripiomba nell’atmosfera cupa generata da chi vorrebbe farla passare come conseguenza del “troppo amore”. Quanto è avvenuto in una trasmissione di una rete televisiva privata si innesta perfettamente nel terreno che da qualche anno si sta tentando faticosamente di dissodare dalle pesanti pietre della connivenza con un modo sbagliato di narrare la violenza di genere. A cosa serve ripetere infinite volte “Al primo schiaffo allontanati da lui, non ti vuole bene”, se poi si giustifica la vicenda di un tentato omicidio con il “troppo amore”? Il conseguente rischio è che si getti alle ortiche qualsiasi tentativo di aiutare le donne colpite dalla violenza sessuata ad intraprendere coscientemente il cammino per fuoriuscirne. Con l’ulteriore effetto che venga messa in discussione anche la solidarietà femminile nei riguardi di chi di quella violenza è parte lesa.
Difatti, seguendo i dibattiti che in rete si sviluppano su come valutare i comportamenti di chi consapevolmente subisce abusi e sopraffazioni dal proprio partner, ex o no, ci si ritrova costantemente di fronte a schieramenti di commenti l’un contro l’altro contrapposti. Espressioni come “Se l’è cercata”, “Resti da sola a risolvere i suoi problemi” oppure “Deve essere aiutata a capire che quello che vive non è amore” “Non può essere abbandonata a sé stessa” esemplificano le diverse posizioni in campo. Senza entrare nel merito delle ragioni che indurrebbero una donna a rimanere a fianco del suo aguzzino, quello che dovrebbe essere messo in campo è un’idonea relazione con essa, laddove la si voglia effettivamente aiutare ad acquisire la coscienza giusta per trovare la migliore soluzione di vita per sé ed i suoi cari. Tutti, istituzioni pubbliche, private, associazioni, singole persone, media, chiunque abbia a cuore le sorti di quella donna, in base alle proprie competenze e capacità.
Le sopravvissute alla violenza di genere non sono personaggi in cerca di un autore che ben le rappresenti, bensì attrici e registe di una sceneggiatura che potrebbe solo essere aiutata a scrivere ed inscenare. Rispettando i loro tempi di autocoscienza, affiancandole nel difficile cammino di consapevolezza sull’opportunità di rescindere i legami con il partner aggressore, aiutandole a costruirsi un futuro migliore del loro presenti di abusi. Spettacolarizzare le dolenti vicende che le vedono protagoniste va da sé che non possa essere di alcun reale aiuto o effettivo vantaggio, perché una volta spenti mi riflettori rimarranno da sole e neppure il ricordo della luce potente dei riflettori riuscirà a diradare le nebbie della confusione generata dal non sapere cosa fare del proprio domani prossimo. Peggio ancora se i media quelle luci le accendono su di una giovane donna fragile, così come è stata definita dalle autorità competenti Ylenia, sopravvissuta all’ennesimo episodio di violenza sessuata. La rissa, resa pubblica dal servizio televisivo, tra lei e la madre ha evidenziato in maniera palese l’inopportunità di un’intervista alla protagonista di quella drammatica vicenda.
Il maldestro tentativo della conduttrice del programma di aiutare la giovane donna a calmarsi dall’esagitazione conseguente al clima negativo che i riflettori avevano concorso a creare, imputando la giustificazione del gesto dell’ex partner al “troppo amore”, ha peggiorato la situazione. Non solo per Ylenia, che dovrà ben essere supportata nel capire che l’amore non si accompagna alla violenza omicida, ma anche per le tante persone che hanno visionato quel programma televisivo, soprattutto donne. A chi ha tratto come conseguenza che la ragazza non debba essere aiutata perché non vuole, a chi ha preso a vederla in cattiva luce perché non ha le capacità di emanciparsi da un amore malato, a chi l’ha addirittura offesa in maniera impropria, sarebbe da dire che occorre spegnere i riflettori su Ylenia, anche se lei non vuole, perché quelle luci fanno male in primis a lei ma anche a loro.
Non sono di certo i tempi televisivi idonei a lasciare correre in maniera adeguata le lancette di quel particolare orologio che scandirà il tempo in cui la giovane donna riuscirà consapevolmente a capire come e quando privilegiare il suo futuro di vita contro il suo recente passato di probabile morte. Quell’orologio per Sara Di Pietrantonio si è inceppato proprio quando lei aveva avuto il coraggio di lasciare il suo compagno, mentre per Ylenia può ancora funzionare per segnare il periodo che le occorrerà ad allontanarsi da chi, a detta degli inquirenti, le ha gettato la benzina addosso, ma che lei invece continua strenuamente a difendere. In questo momento di incertezza e confusione, così particolare per la giovane donna, i mass media non dovrebbero usarla al solo fine di aumentare la propria audience o i propri lettori virtuali e no. Ben ha fatto di recente l'Ordine nazionale dei giornalisti a varare un Osservatorio con il mandato di monitorare i media, segnalando e denunciando ogni espressione impropria sulla violenza di genere. Indubbiamente un ulteriore passo in avanti per ottenere l'uso di “parole giuste” perché, quando si scrive e si parla di femminicidio, diventa necessario usare quel genere di parole “per contrastare interpretazioni e termini scorretti che di fatto ostacolano il superamento di una cultura ancora profondamente misogina” (Gegia Celotti, coordinatrice del Gruppo di lavoro Pari Opportunità dell'Ordine Nazionale dei Giornalisti).
Solo un’idonea descrizione delle vicende in questione da parte dei media potrà essere capace di suscitare la giusta comprensione del fenomeno della violenza sessuata, contribuendo a livello culturale nel veicolare l’idea che alcune vite non debbono valere meno delle altre. A tal fine Il Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti ha adottato il documento della Federazione Internazionale dei Giornalisti (IFJ) a proposito di violenza sulle donne, elaborato nel solco della Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1993. Il testo tra l’altro rimarca “l'opportunità di arricchire la narrazione di dati, annotazioni, pareri di esperti che servano a collocare gli atti di violenza nel loro contesto storico e culturale, consentendo ai lettori di comprendere quanto sia infondata la convinzione che la violenza sulle donne sia una tragedia inesplicabile e irrisolvibile”. Un codice deontologico del genere dovrebbe essere fatto proprio anche dalle reti televisive a ragione della maggiore diffusione delle loro notizie e programmi, così da evitare che quel “troppo amore” conclamato televisivamente diventi l’impropria giustificazione con cui nella realtà gli aguzzini di tante, troppe, donne, continueranno ad essere assolti da chi non comprende che di amore non si possa morire.
di Maddalena Robustelli
per NDNoiDonne