di Maria G. Di Rienzo
Cose che fanno perdere tempo prezioso (per cui intendo, terminato il pezzo, non occuparmene più): Cianfrusaglie N. 2, gli “esperti” di femminismo – e i loro delicatissimi sentimenti.
Si presentano come “alleati”, dichiarandolo o in modo sottinteso. Parlano o scrivono quasi esclusivamente di femminismo – dei divari salariali fra uomini e donne, dei diritti riproduttivi, di prostituzione. Su internet non c’è blog o sito femminista che non riceva le loro puntigliose visite sempre corredate di commento e con gli altri uomini si impegnano in lunghi, tediosi, scontati battibecchi da social media: come se spuntarla nell’oziosa diatriba del giorno equivalesse ad “un piccolo passo per la mia pagina Facebook ma un grande balzo per l’umanità”.
Qualsiasi siano il loro grado di istruzione e la loro effettiva intelligenza si stimano grandi pensatori, giudici equanimi, opinionisti imperdibili. Grazie a questa loro eccellenza si sentono perfettamente legittimati a parlare in nome delle donne o a decidere cosa il femminismo dovrebbe essere. Attestano di essere convinti al 100% che possedere le donne come oggetti sia sbagliato, ma quanto all’appropriarsi delle loro istanze, delle loro voci e della loro agenda non hanno nessun problema.
Questi uomini tendono a diventare rapidamente furibondi quando si sentono dire che le loro opinioni sul femminismo e questioni correlate non sono la nostra principale priorità… curioso, nevvero: proprio come quelli che non si autoidentificano come “alleati” ed “esperti” – persino lo sbrocco di insulti, pseudo-sarcasmi e citazioni a cascata è identico. Si chiama paternalismo, babies.
Noi donne siamo trattate quotidianamente da qualche uomo o da parecchi uomini (certo, non da tutti gli uomini… poi riprenderò l’argomento) come se avessimo urgentissima e imprescindibile necessità dei loro consigli e della loro guida: e se il merito del discorso concerne qualcosa di cui siamo noi le esperte – i nostri diritti umani, le nostre vite, le nostre relazioni, il nostro attivismo sociale e politico… id est, il femminismo – la convinzione che il nostro sapere e la nostra esperienza abbisognino di illuminata direzione maschile aumenta invece di diminuire.
E’ del tutto logico, non vi pare, che un segmento di umanità su cui si accumulano in vari gradi abuso, sfruttamento, oppressione, discriminazione e violenza debba delegare a chi comunque appartiene alla classe dei dominatori (e volente o nolente gode dei privilegi relativi) la definizione dei termini della propria liberazione.
Permettetemi, per favore, di lasciare da parte la consueta tiritera dei distinguo (“non tutti gli uomini”) che spesso ci sentiamo costrette a fare, per non urtare la finissima sensibilità maschile, quando trattiamo di violenza contro le donne. Sappiamo perfettamente, si sia femmine o maschi, che non tutti gli uomini molestano, stuprano, abusano, uccidono. Qui non stiamo trattando dell’immaginaria offesa che un “alleato / esperto” avverte quando mostriamo e dimostriamo che comunque sono al 99% uomini quelli che molestano, stuprano, abusano e uccidono, stiamo trattando dell’offesa reale inflitta alle donne nel giudicarle sempre e comunque bisognose di tutela maschile.
Ad ogni modo, non è compito delle femministe angustiarsi sul disturbo dei sentimenti degli uomini. Le donne hanno fatto questo per secoli a spese di se stesse. Il lavoro delle femministe è rendere le esistenze delle donne più sicure e migliori, gettar luce sulle circostanze in cui si trovano e sulle ragioni di dette circostanze, eccetera.
Il femminismo si basa largamente sulle esperienze vissute dalle donne – in prima persona, direttamente. Le strutture di dominio intervengono nelle vite delle donne e le modellano in modi che chi, come maschio, è situato ad altezze e punti diversi sulla mappa generale non è neppure in grado di percepire. Un uomo bianco della classe media, con diploma o laurea e tutte le sue tutele, piccole o grandi, in tasca non può dire di sapere cosa significhi essere una donna di colore con reddito insufficiente a cui l’accesso all’istruzione è negato o reso difficoltoso; essere un uomo povero è disperante, ma neppure quest’uomo può dire di sapere cosa comporta essere una donna povera:perché l’oppressione di genere che investe – e spesso travolge – quest’ultima, intersecandosi alla mancanza di opportunità ed esasperandola, non tocca lui.
Vi è così difficile, signori, riconoscere che le donne sanno di più delle proprie vite di quanto ne sappiano gli uomini? O che le femministe sono le principali studiose e ricercatrici per quel che riguarda dette vite?
Se siete davvero così preoccupati del benessere delle donne, cominciate con lo smettere di sommergerle di quelle vostre preziose parole che implicano la loro ignoranza su questioni che vivono, studiano e di cui si occupano fattivamente… parole che hanno il solo scopo e il solo risultato di gonfiare il vostro ego. Noi non abbiamo tempo per cucinarvi biscotti e darvi pacche sulle spalle. Non ne ne abbiamo nemmeno voglia.
Il femminismo è il nostro movimento. Siamo felici se volete saperne di più e sostenere la faccenda, ma dovete imparare che ciò non comporta stare al centro del palcoscenico: quello spazio è riservato alle donne e le loro storie e le loro esperienze hanno la precedenza sulle vostre intuizioni e i vostri suggerimenti.
di Maria G. Di Rienzo, Lunanuvola's Blog
Share this: