di Francesca Padula
Anno dopo anno si moltiplicano le iniziative e le associazioni dedicate a combattere e denunciare la violenza alle donne e, nonostante ciò, un anno dopo l’altro assistiamo inermi all’inesorabile aumento dei femminicidi.
Una vera emergenza sociale, per la quale non si fa e non si parla mai abbastanza.
Ma è sufficiente quello che viene fatto? Evidentemente no, evidentemente c’è qualche tasto fondamentale che non è ancora stato toccato, quello che dovrebbe far capire all’uomo femminicida che la donna non è un oggetto che si può possedere e che si può manipolare, su cui far violenza a piacimento (soprattutto quando vorrebbe lasciarlo), fino alla sua morte.
La violenza sulle donne è qualcosa che va oltre il “semplice” delitto compiuto su un essere umano, perché spesso alle donne sono concatenate altre vite, quelle dei figli ad esempio. Le loro esistenze saranno immancabilmente segnate dalla perdita delle madri: figli orfani due volte, prima delle madri uccise, poi dei padri, quando se ne scopre la colpevolezza… quando, sì perché, purtroppo ci sono anche dei delitti che rimangono impuniti, dove si sa chi è stato ma non esistono elementi di prova certa.
E sono molto amareggiata che molte di queste donne, ferite, violentate, uccise, poi lo siano di nuovo, dopo la loro morte, anche dalla società, dalla ignobile sovraesposizione fatta dai mezzi di comunicazione, dai programmi televisivi, che non esitano a ripetere fino alla nausea particolari della loro vita intima, come il dettaglio delle conversazioni private intercorse tra loro ed altre persone (donne morte, di cui nessuno può conoscere veramente la vita trascorsa, quali fossero i sentimenti che provavano e ciò a cui avevano dovuto rinunciare per i figli o per altro); e che queste siano addirittura lette ad alta voce anche da donne, mi disgusta enormemente. Tutto ciò dimostra che non esiste più il rispetto per niente, né per chi è stato barbaramente ucciso, né per chi è rimasto, i figli, i genitori, vittime innocenti a loro volta.
Io sono fermamente convinta che tutto ciò che fa parte di un indagine, debba essere strettamente riservato e trattato con assoluta discrezione. Considero vergognoso ed indegno che la trascrizione di conversazioni private passi in un lampo dalle scrivanie dei magistrati a quelle delle redazioni di giornali e trasmissioni tv. Al diritto di cronaca dovrebbe essere imposta una limitazione per legge, se lede l’intimità di una o più persone (esiste o no la legge sulla privacy, o viene sbandierata solo se e quando fa comodo?!?): agli inquirenti spettano le indagini, alla televisione l’intrattenimento, non uno squallido sguazzare nelle vite altrui, di donne che ormai non hanno neanche più diritto di replica.
Io come donna e madre sento urgente il bisogno di urlare tutta la mia rabbia verso questi criminali atti di violenza, concatenati l’uno all’altro, che sembrano autoalimentarsi a vicenda senza far scorgere uno spiraglio di luce.
Come autrice non posso che continuare a fare quello che ho fatto da quando ho deciso, circa 10 anni fa, di mettere su carta stampata e su pagine virtuali le mie idee, i miei pensieri legati al mondo femminile.
Dagli sfoghi del libro umoristico “Quanto pesa…”, agli articoli presenti in web su diversi Portali delle Donne, al romanzo “Alessandra Capitano del RIS”, dove la protagonista è una donna che si fa strada in un mondo tipicamente maschile, ai diversi racconti con protagoniste delle donne (magistrati, appartenenti alle forze di polizia o donne violate), presenti in più collettanee, dopo un periodo di “fermo editoriale”, ecco che ho deciso di cimentarmi in nuovi progetti.
La revisione di una raccolta di racconti (rimasti un bel po’ di tempo a decantare nei circuiti del mio computer) dedicata completamente alle donne: “Le mie donne – Donne di Legge e Donne Indifese”, perché non posso fare a meno di scrivere di donne e per le donne, di dare voce ai sentimenti di noi tutte, alle nostre fragilità, alla nostra forza ed alla capacità di rimetterci sempre in gioco, senza mollare mai, nonostante le sconfitte, a meno che non ci fermi qualcuno con violenza bruta.
E la stesura di un nuovo racconto (il capitolo definitivo di storie già pubblicate in tempi diversi, ma che vorrei riunire in un unico testo) la cui idea fulcro avevo in testa già da tempo, senza però riuscire a trovare la molla giusta per elaborarlo: l’ultima avventura, dopo altre quattro aventi come protagonisti i carabinieri di una (ex) Stazione pisana, dove i militari dell’Arma si troveranno proprio di fronte ad un femminicidio, apparentemente irrisolvibile, ma il cui colpevole (almeno nelle vicende inventate accade) sarà arrestato.
Una storia in cui vorrei si leggesse la chiave di (s)volta per poter superare questa vera tragedia dell’umanità: non bastano le donne per combattere il femminicidio; sono necessari anche uomini sani ed illuminati, intenzionati a cooperare con tutte le loro forze insieme a noi, perché questa terribile forma di violenza venga sconfitta e magari il 25 novembre potrà diventare un giorno di festa e non di commemorazione dell’ennesima morte.
Cascina, 22 novembre 2014