È domenica pomeriggio. Io che, di solito, dedico questo giorno a me stessa, mi chiudo in casa e mi rilasso: esco. Arrivo a Piazza del Popolo per la manifestazione del Comitato “Se non ora quando?”. Mi guardo intorno. Penso. Trovo un punto strategico da cui poter osservare il palco, mi riguardo intorno e penso. Sono inquieta, cerco qualcosa. Non la trovo. Mi riguardo intorno e mi domando: “Dove sono?”
Non le donne, quelle ci sono, sono tantissime. Le giovani? Le ventenni o giù di lì? Dove sono?
Sono poche, oserei dire pochissime. La vivacità di tante donne mi mette comunque allegria ma più giro tra loro più mi viene in mente una sola domanda: “Se non le giovani, chi?”
Non voglio creare un altro comparto dentro una manifestazione di genere ma non riesco davvero a capire perché ci siano così poche ventenni e trentenni. Non è forse la mia generazione quella, o quasi, più toccata dalla crisi? Quella a cui sono state più tarpate le ali da stereotipi di genere? Dal precariato? Dalla subordinazione latente e spietata nei posti di lavoro? Nelle rappresentazioni della donna in TV, sui giornali, dalla politica?
Penso che, anche, le tante donne non più giovani sono toccate, con problemi uguali e diversi. Dobbiamo essere unite: le donne di tutte le generazioni. Ma quella che ho intorno è una piazza di donne, unite, compatte, ma da cui resta esclusa, e non per colpa di chi è lì, una generazione: la mia.
Mi viene in mente una frase di Guccini nella canzone piazza Alimonda, dedicata a Carlo Giuliani: “Uscir di casa a vent’anni è quasi un obbligo, quasi un dovere”. Poi le parole di Gramsci: “Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra forza.
Studiate, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza”.
Ascolto le donne che si avvicendano sul palco, parlano dei nostri problemi, urlano la parità, rivendicano un ruolo importante nella vita del paese, dicono che “vogliamo il pane e le rose”, affermano che “senza di noi non si esce dalla crisi”. E ancora non capisco. Vado via un po’ delusa.
Stamattina provo a capire.
Mi hanno detto che siamo troppo impegnate a sopravvivere per mobilitarci. Non mi convince. Abbiamo a disposizione le ore serali, il fine settimana. Non è questione di tempo.
Forse non ci interessa? No, no, ci interessa eccome. Vogliamo uguali opportunità di carriera, di libertà, di diritti.
Non ci sentiamo ra
presentate, non sappiamo come fare, non crediamo sia una questione solo di genere (anche secondo me non lo è solamente)?
Forse ho capito: ci interessa la questione, ma è meglio delegare. Ma se deleghiamo, allora ci sentiamo rappresentate e abbiamo fiducia: si annulla l’affermazione precedente.
Non va bene niente: come facciamo a non sapere come fare? La media dell’istruzione tra le giovani si è alzata, abbiamo le nuove tecnologie, come facciamo a rimanere immobili?
Probabilmente non la vediamo come una questione di genere soltanto. Non lo è, è vero, non vanno tante altre cose. Ma la questione femminile resta prepotente più che mai.
Rinuncio a capire. Resto con il perché. Prima o poi capirò.
Rafforzo la mia convinzione che senza le giovani non si va da nessuna parte, senza l’attivismo non si ottengono risultati, senza la mobilitazione ci scippano i diritti, senza l’indignazione e l’informazione si fa il gioco di chi ci vuole a testa bassa, senza lottare non avremo garanzie per il futuro, per buona pace di tutte quelle donne che ora con i capelli bianchi hanno combattuto e ancora combattono.