di Marta Ajò
Manca ormai poco all’elezione del nuovo Presidente della Repubblica.
Sembra veramente incredibile, indecente, che nel secolo delle grandi promesse, dei proclamati cambiamenti, dell’era digitale, dell’espansione robotica, della globalizzazione, si debba ancora discutere se sia possibile che una donna arrivi al Quirinale. Mentre in altre nazioni di donne presidenti ce ne sono state e ci sono.
Stante che l’art. 84 della nostra Costituzione indica che “Può essere eletto Presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto cinquanta anni d’età e goda dei diritti civili e politici” non si riesce ad individuare un argomento valido che giustifichi la freddezza, il cinismo, l’ipocrisia con cui viene accolta anche solo l’ipotesi di una donna al Quirinale.
Una meta irraggiungibile su cui discutere, su cui esercitarsi per dimostrare che di donne adeguate a rivestire questo incarico non ce ne siano mai state o non esistano. Le poche su cui si mormora, con scarso impegno, come papabili obtorto collo, come il male minore, sembra abbiano già consumato il ruolo senza averlo esercitato, tirate in ballo per ogni incarico incerto.
Su questa diatriba, donna si donna no, un folto e rappresentativo numero di donne si sono giustamente indignate ed esposte a favore di questa candidatura. Sono stati lanciati appelli in suo favore su cui raccogliere firme (che, pur molte, non hanno lo stesso peso dei voti elettorali, va da sé). Nelle ipotesi ventilate dai partiti si sono sussurrati alcuni e pochi nomi femminili, perché e non si sa mai, se non dovessero trovare un accordo politico su un loro candidato, potrebbero essere indotti a trovare una candidatura che tolga le castagne dal fuoco.
Ha detto un politico navigato come Massimo D’Alema che “sarebbe importante che le forze politiche si vincolassero ad avanzare ipotesi di candidature femminili; dopo 70 anni, e in una fase di crisi profonda del sistema democratico, sarebbe un segnale importante”.
E’ in questa tardiva considerazione che casca l’asino!
Perché la questione è, a monte dell’indisponibilità di oggi ad accogliere una ragionevole proposta di rappresentanza, nell’ attitudine della politica a trattare la questione di genere con fumose enunciazioni di principio piuttosto che di sostanza. La politica è amministrazione dello stato, della vita pubblica, esercizio di potere decisionale, non ha genere.
Purtroppo c’è solo la memoria storica a ricordare per date e titoli il ruolo svolto dalle donne in modo diretto o indiretto.
Per venire agli ultimi due decenni, che non sono più d’inizio ma dentro questo secolo, il 2000 è stato caricato da tutti di molte aspettative in sostegno di sfide future.
Un passaggio temporale a cui tutti, uomini e donne, diversi ma uguali, sanno di dovere partecipare .
La valorizzazione delle differenze, a maggior ragione in un mondo in cui i confini geografici sono sempre più indefiniti, le lingue rimescolate e l’economia allarga il suo raggio d’intervento, non può che essere considerata un fattore di ulteriori opportunità e di crescita non solo nella cultura aziendale ma soprattutto nella riorganizzazione sociale e politica.
Come è avvenuto in questi ultimi due anni di pandemia, che hanno ridisegnato una sorta di mappa delle connessioni tra diverse realtà, delle relazioni come eravamo abituati a vivere e la stessa metodologia del lavoro. Il ruolo delle persone è diventato multifunzionale e le diversità, anche di genere, non possono che orientare diversamente la visione delle risorse umane.
Dal canto loro, le donne, non come categoria, hanno ripreso a discutere sul loro destino futuro.
E allora perché non una donna al Quirinale? Forse la domanda di per sé è mal posta.
Gli appelli, le petizioni, proposti in modo ripetitivo nei toni e nei contenuti, non fanno che indebolire la validità e la legittimazione di una donna al Colle. La supplica sottolinea sempre uno stato di debolezza. Eppure perché diventi una norma il raggiungimento del Colle, come altre forme di gestione politica, le donne dovranno saltare passaggi e pedaggi, e fare valere il peso delle alleanze che riusciranno a stabilire nel Paese e dei rapporti di forza che esse esprimono.
Con questo non si vuole dire che le donne non sappiano esercitarsi in questo mestiere. Abbiamo avuto Presidenti della Camera, del Senato, ministri, sono aumentate le parlamentari ecc. eppure si è ancora a discutere sulla scarsa attenzione della politica. Come se le questioni poste non fossero trasversali in un unico contenitore politico e sociale.
Probabilmente nemmeno una Presidente della Repubblica potrebbe riuscire a sciogliere il nodo.
E’ probabile, possibile, che in questo secolo emerga un nuovo e diverso “femminismo”, meno rivoluzionario, meno ideologizzato ma più consapevole e politicizzato.
Una fase di mutazione comportamentale finalizzata a raggiungere un obiettivo, che deve ancora essere chiarito, salvo convivere a fianco di queste contraddizioni.
A scoperchiare il vaso di Pandora, se proprio nessuno lo volesse, ci pensa il web e le nuove forme di comunicazione da esso imposte. Che ci svelano ogni parola, ogni segnale, ogni disagio, ogni conferma, ogni dibattito, ogni cambiamento. E in questo svelamento si può riconoscere la diversa e articolata mappatura dell’universo femminile oggi.
La metamorfosi dei partiti, nel corso del tempo, ha praticamente eliminato forme di organizzazione interna ed esterna nel territorio. Ciò ha fatto si che anche una parte del loro elettorato tradizionale, donne e uomini, non trovando riferimenti progettuali e risposte ai bisogni, si accostassero a nuove forme di aggregazione. Difficile aderire ad un progetto politico se non è appieno comprensibile. Avviene in ambito di una cultura sia di destra che di sinistra.
Forse alle donne di oggi è rimasto da compiere l’ultimo tratto e portare a termine il lavoro iniziato da chi le ha precedute. Rompere definitivamente lo storico “tetto di cristallo” evitando che le ultime schegge impediscano loro di andare oltre senza ferirsi.
Conquistare un ruolo decisivo che superi una volta per tutte quello consultivo che a loro è sempre stato assegnato. Di diritto di rappresentanza senza doversi avvalere di percorsi laterali, di quote, di marginalità. Di sopportare l’invisibilità. Non più solo un fatto di numeri di rappresentanza quanto un modo diverso di ottenerla, che non offenda né tolga dignità.
Cosa si può opporre a questo ragionamento?
Intanto ripartire dalla Storia in cui niente accade per caso. E guarda caso la questione femminile, storicamente emersa in periodi di profondo disagio (movimento operaio, studentesco ecc.) sta riemergendo oggi, a causa della pandemia che ha fatto scoppiare di nuovo tutte le contraddizioni vissute dalle donne e dall’organizzazione sociale che senza di loro, le loro capacità e le loro professionalità non avrebbe retto all’impatto.
Un donna al Quirinale non può essere considerata un’eccezionalità.
Ma pensare che una Presidente della Repubblica donna sia la vittoria delle donne è sbagliato.
La sostanza è ben altra.
Una donna al Quirinale, se scelta oggi, scioglierebbe forse il garbuglio e l’impiccio dei partiti.
Quindi esserle riconoscenti di accettare un’elezione sottotono, si direbbe di necessità più che di merito in cui riconoscersi, sarà comunque doveroso.
Avendo chiaro che i temi che sollevano le donne non saranno il suo primo pensiero della mattina né che potrà porre come prioritaria la questione nell’agenda di Governo.
Né che possa essere riferimento ideologico e politico di tutte.
E il simbolo evocato genericamente dagli appelli potrebbe apparire un inganno.
pubblicato su Dols