L’abitudine tipicamente femminile di cercare altrove da se stesse punti di riferimento, icone a cui rivolgersi, personaggi da imitare e a cui indirizzare la vocazione a farsi rappresentare, porta a guardare con maggiore attenzione le donne che, agendo nel pubblico, possono dare corso a comportamenti emulativi.
E sono anni che non ne troviamo alcuna di grande valore.
Ci limitiamo a rievocare il fantasma di Diana Spencer, di Madre Teresa, per arrivare a Samantha Cristoforetti e Bebe Vio, ci siamo disperatamente attaccate a Hillary Clinton o Michelle Obama, Angela Merkel, e le varie regine principesse attualmente in carica, aiutate dai media anche qualche attrice o cantante ma, diciamo la verità la Madonna, quella vera, rimane l’unico punto di riferimento per molte.
Insomma per quanto ci siano tante, tantissime donne di valore nelle professioni più alte del management nel mondo come in altri settori, il riflesso delle donne nello specchio appare sempre opaco.
Magari è il mondo che è appannato, magari è il nostro Paese che non ha luce, magari è la governance che ci guida che non offre vedute di ampio respiro, magari è la nostra classe dirigente di così basso profilo e scarsa cultura che ci opprime, magari è…
Per tutto ciò vorremmo che le donne emergessero, non solo come vittime designate, in questo nuovo millennio che si sta presentando peggio del passato nei comportamenti collettivi. Per questo vorremmo che le donne “altre” ci aiutassero ad una vera integrazione nel rispetto reciproco e universale.
Nel merito del nostro genere, a parte le uccise, di cosa vogliamo parlare?
Di Rula e Virginia. L’una giornalista l’altra sindaca dei Roma.
Entrambe donne di bell’aspetto, giovani e determinate, sono piaciute all’universo femminile che le ha seguite, votate e partecipi del loro lancio. Peccato esserne deluse!
Perché il volo delle aquile infine non si è dispiegato e a noi appare trasformato in uno stentato e improvvisato svolazzo di piccioni.
Rula è passata, e a chi osserva non poteva sfuggire, da un approccio timido quanto determinato nelle sue prime apparizioni televisive, che sono molto più numerose delle cose scritte, ad una presenza continua, aggressiva, petulante, invasiva e vociante. Con uno stile urlato che travalica quasi sempre l’argomento trattato, la presunzione di avere sempre e incontrovertibilmente ragione salvo essere contro le donne, una fissazione sul suo bell’aspetto, che mostra ma rinnega per valorizzare la sua capacità di pensiero, con l’amore-odio per l’altro genere che le ha fatto contemporaneamente sposare uomini affermati e ricchi ma che l’ha definita “una gnocca senza testa” per mortificare il suo intelletto. Testimonial di cause mai sconosciute e sempre sotto riflettori, ha ultimamente offertola sua immagine per uno spot pubblicitario di una linea di borse di basso profilo, democraticamente economica e alla portata di ogni portafoglio. Ultima performance in favore delle umili casalinghe che contano gli spiccioli.
Passando disinvoltamente dalla polpa succosa della grande mela newyorchese alla buccia del frutto italiano.
Ma quando l’aquila finge di volare alto si vede, non c’è niente da fare. Acchiappa qualche piccola preda ma la sua grandezza ne risente.
Virginia, ah! Virginia sta diventando un caso imbarazzante. Povera Virginia, che se solo avesse studiato un po’ la storia che ha fatto grande anche la più piccola donna italiana, dovrebbe avere un moto di riscatto. Invece no; sta li a scusarsi e a ringraziare Beppe, a farsi strumentalizzare da chi le ronza intorno, parla a sproposito consigliando ai cittadini romani gommoni in caso di alluvione e altre scempiaggini del genere, scaricando le proprie responsabilità (noi donne che siamo state abituate ad assumercele tutte) e la sua incapacità gestionale su altri. Se solo si ricordasse come si dirige una famiglia magari farebbe qualcosa di meglio: i conti, entrate ed uscite, le priorità, i bisogni, la condivisione e la solidarietà. Mica dovrebbe andare tanto lontano. Eppure è stata tanto sostenuta dall’elettorato, specie femminile, perché deluderci così tanto?
Se solo ne fosse stata capace, quest’aquilotto con gli artigli e le ali spuntati per volare alto e il becco spropositato e avido come la città su cui plana, avrebbe dovuto rivolgersi ai suoi concittadini, chiamarli all’appello, magari al sacrificio, avrebbe dovuto uscire dagli schemi di appartenenza e mettersi dalla parte di chi si aspettava un vero cambiamento. Il suo volo sarebbe stato alto, altissimo e nessuno l’avrebbe potuta abbattere.
Peccato, peccato davvero che le aquile non sappiano volare come natura le avrebbe destinate.