Marta Ajò
Ma quelle foglie morte
che il vento, come roccia,
spazza, non già di morte
parlano ai fiori in boccia,
ma sussurrano: – Orsù!
(Foglie morte. Giovanni pascoli)
Cadono invece, come rito malefico e senza futuro, le molte donne uccise in ogni parte del mondo e si accendono i riflettori su di loro nella cronaca quotidiana.
E doveroso riflettere su questo “olocausto” cui l’ONU ha sentito la necessità di dedicare una giornata mondiale contro ogni forma di violenza perpetrata contro di esse.
Ed ogni anno, in questa triste ricorrenza-denuncia internazionale, la politica, i media, e la società prendono atto di questa piaga apparentemente incurabile.
Le analisi di questo fenomeno fatte in tempi successivi e ripetuti per contare le morte, osservare-comprendere gli atti omicidi e trovare metodologie d’intervento e di giustizia per combatterli, si sono succedute purtroppo senza successo e il numero delle vittime aumenta lasciandoci sbigottiti.
Non esistono responsabilità altre che non siano da ricercare all’interno di un pezzo di società che non risponde alle regole e ai principi generali della convivenza fra diversi.
Ogni morta ed ogni suo assassino hanno la loro storia che può essere raccontata ma, quando essi diventano una rappresentanza malata di un paese, il governo ne deve prendere atto ricercando le misure che si ritengano necessarie-imviolabili a porvi rimedio.
Ma poiché non può esservi solo responsabilità-colpa-incapacità della politica e dei suoi strumenti, bisogna soffermarsi anche su altri aspetti.
La questione della violenza di genere, in ogni sua forma, pone una riflessione ulteriore alle protagoniste assolute di questo fenomeno: le donne.
Il resoconto storico racconta di oppressi che si ribellano e mai di un oppressore indotto a pietà, dunque perché le donne si siano sostanzialmente sottomesse è ancora inspiegabile. Possiamo raccontarci ancora del valore del movimento femminista e delle conseguenze positive che esso ha instaurato nelle culture occidentali ma lo zoccolo è rimasto troppo duro per essere scalfito. Il dibattito successivo, fino ad oggi, viene sempre svolto in punta di forchetta.
Direttamente chiamate in causa, le donne hanno rappresentato in ogni modo la difficoltà che comporta l’essere tali in un mondo prepotentemente a misura di maschio.
Il secolo alle spalle, ancora così vicino nell’oggi, doveva essere l’argine per traghettarci verso il nuovo e il meglio.
Se esso è stato definito il secolo breve, questo in cui siamo entrati ormai da quasi 20 anni, si avvia ad essere quello che rivoluzionerà la vita per come l’abbiamo conosciuta fino adesso. Ciononostante, desideri e bisogni appaiono sempre uguali e, sia pur collocati diversamente, ad essi bisognerà sempre rispondere. Il mondo tecnologico non potrà distruggere le caratteristiche che ci definiscono “umani”.
Le macchine potrebbero però livellare uomini e donne. Il mercato del lavoro avrà bisogno di nuove figure professionali sempre più formate tecnologicamente e la rottamazione di vecchi mestieri colpirà tutti i lavoratori. Più che un sospetto indica però che il trend di disuguaglianza di genere potrebbe rimanere una costante.
I dati dimostrano che le nuove generazioni sono sempre più attratte dalle innovazioni del mercato ed è il motivo che le porta a cercare lavoro fuori dei nostri confini ed a formare una famiglia sempre più tardi. Ciò comporterà, come conseguenza altri e nuovi problemi che riguarderanno individui soli ma anche nuclei familiari nei quali la donna è da sempre il principale motore.
Le donne dovrebbero prendere atto che ogni sperimentazione finora tentata non ha dato i frutti sperati ed i risultati si sono mostrati inconsistenti. Come affrontare la questione?
Inutile tornare ogni volta a ricordare date e sigle di questo percorso al femminile che rischia di sfinire. Il “genere femminile” deve ripensare alla sua storia senza nostalgie passatiste e in modo realistico. Successi e insuccessi vanno considerati con chiarezza.
Lo slogan “se non ora quando” ha lasciato senza risposta soddisfacente l’interrogativo: “quando, quando?”.
Né la piazza di “non una di meno” ha potuto contarne “una in meno” perché le percentuali dei femminicidi è in aumento.
Forse è arrivato il momento di consultarsi, organizzarsi e convogliare le energie nel perseguimento dello stesso risultato perché se è vero che le forze vecchie e nuove del “femminismo”sono ancora presenti nei mutamenti contemporanei la forma della politica che esse devono portare avanti deve cambiare forma.
La fase “rivoluzionaria” che ha caratterizzato il movimento femminista storico ha scardinato vecchi concetti ma non vecchie regole e la società non si è riequilibrata tra tutti i suoi componenti. E’ necessario passare dalla metodologia del raccontare e del dialogare a quella della trattativa diretta.
Ed essa potrà avvenire solo se rappresentata da una forza che esprima un potere contrattuale.
Agire solo per mantenere ciò che ci è stato “concesso”, ovvero in difesa, non è un atteggiamento vincente. E’ necessario mettere in atto una procedura di “intersezionalità” fra donne che riporti ad un unico progetto e a traguardi condivisi.
La rivoluzione non è una parola da demonizzare, precorritrice necessariamente di violenza ma, come dimostra la rivoluzione digitale che sta trasformando le nostre vite, irruenta ma pacifica.
Altrimenti le donne rischieranno di rimanere sempre nella posizione del mouse per il compiuter, necessario ma secondario.